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Tempu palori aschi e maravigghi

Tempu palori aschi e maravigghi (2002)
Marco Scalabrino, Tempu palori aschi e maravigghi
Francesco Federico Editore, 2002
108 pp., Euro 6,00

Marco Scalabrino, poeta, saggista e traduttore, ci conferma con questa sua silloge – venticinque poesie in dialetto siciliano con traduzioni in inglese, tedesco, francese, italiano, spagnolo e latino – la capacità del dialetto di raccontare ed esprimere in modo autentico e persuasivo mondi geografici e interiori. In tal senso, ci mostra, anzi, il limite naturale delle lingue sopraggiunte, non sempre capaci di restituire ricchezza di significati, di richiami, di sfumature, che l’oralità e l’immediatezza del dialetto, invece, consente. Per Scalabrino potrebbe forse dirsi ciò che si è detto per Franco Loi: «Dantesca è soprattutto l’idea di una lingua ‘come per sé stessa mossa’, obbediente a un’imperiosa ispirazione interiore, necessitata ad aderire alla materia.» (1)

Si potrebbe inoltre aggiungere che il dialetto vive trasfuso in quello stesso mondo che descrive ed esprime, e viceversa. Ed ecco, sullo sfondo, il problema dell’intraducibilità di lingue e dialetti, che il poeta, qui, meritoriamente, affronta proponendo versioni nelle lingue ritenute, a suo giudizio, più rispettose dei testi tradotti.

Le poesie, scritte tra il 1996 e il 2000, sono precedute da un discorso preliminare di Flora Restivo Cugurullo, seguite da alcune note di critica.

Ma di cosa parlano queste poesie? viene subito da chiedersi. L’uso del dialetto potrebbe infatti far pensare a descrizioni ed evocazioni di luoghi, storie, sentimenti che radicano nella Sicilia di Scalabrino. Invece no. O, meglio, sì, ma in misura assai contenuta. Solo due testi parlano in modo diretto di Sicilia: Aschi e Maravigghi di Sicilia e Sicilia ci cridi. I temi, invece, su cui sono prevalentemente incentrate queste poesie sono la natura (Mari, 10 austu 9999, Eccrissi, Sacrilegiu, Petri, Tu, Ciuri d’occidenti), gli affetti personali (La duminica poi, Famigghia, Cumpanaggiu, Papuzzana, Virtuali e guàrdati, Quannu ti parlu), la personale visione del mondo del poeta (Libirtà, Siddharta, Nun mi n’addugnu, Unu, Festa, Scinnu, Successi, Iddu).

A una prima lettura ci si rende subito conto che il poeta va, invece, diritto al cuore dei sentimenti universali di ogni tempo e luogo; va oltre i confini del luogo natio ma senza mai prescinderne, senza mai abbandonarne il viatico materno, primigenio, la salda piattaforma da cui scrutare e leggere il mondo, esprimendolo e infine comunicandolo: un mondo ampio, perciò, e un dialetto che ci conduce nella lingua transnazionale della poesia. Lo sguardo al cielo, all’orizzonte, potremmo anche dire, e i piedi ben piantati in terra: la stessa che lo ha originato e nutrito.

Elementi importanti per comprendere l’autore e la sua poesia li fornisce la lettura di due poesie, proprio sul far poesia (Tempu e Palori), non a caso inserite all’inizio della raccolta: quasi due portali che delimitano e avvertono del viaggio che si andrà a intraprendere, iniziando la lettura:

Armu putia
Aju la truvatura
e li carti in regula p’aggigghiari:
licenza, si capisci
un magasenu
e na vitrina
a jornu
cu la nzinga
Accattu e vinnu tempu
tempu vecchiu. (2)
(Tempu)

Così, in apertura, questa poesia sembra dichiarare un programma, un piano esistenziale e, non di meno, un piccolo, simbolico “manifesto”. «Uno strano rigattiere», osserva Flora Restivo Cugurullo nel suo Discorso preliminare, che compra e vende un’altrettanto strana mercanzia: “il tempo vecchio”. Quello che non serve più, quello inattuale, quello consumato, spento: almeno secondo il giudizio, prevedibile, dei più. In realtà, invece, riteniamo, un tempo luminoso e significativo, lentamente decantato, reso imperituro dal suo insistito richiamo, dalla sua esemplarità.

E proprio l’apparente inattualità e inutilità del tempu vecchiu ci richiama la condizione del poeta, del poeta fuori da mode e tendenze, sul quale il tempo – quello attuale – scivola senza mai trascinarlo via, bagnandolo senza mai annegarlo. Roccia, dunque, e scoglio, …isola. Nulla manca al rigattiere-poeta: la passione e la determinazione (Armu putia…), dopo essersi rivelato a sé stesso, dopo aver scoperto il modo, i mezzi, le competenze necessarie… (Aju la travatura/e li carti in regula p’aggigghiari:/licenza, si capisci/un magasenu), e l’onesta trasparenza delle intenzioni – quasi una dichiarazione di poetica (e na vitrina/a jornu/cu la nzinga/”Accattu e vinnu tempu/tempu vecchiu).

Anche la seconda poesia, Palori, è proemiale alla raccolta. Poesia sulla poesia, in ogni caso, ma che, a ben vedere, si spinge un poco oltre, rispetto alla precedente, introducendoci all’interno del laboratorio poetico, per mostrarci architetture e miscele cementizie

Certi palori sunnu duri
duri chiù di autri
a nccrucchitari (3)
(Palori)

Proseguendo con Aschi e Maravigghi di Sicilia (una suite) il poeta ci avvicina a un mondo la cui fisionomia etnica è sì caratterizzante, ma non esclusiva. Molti sentimenti possono ritenersi comuni e condivisi dalla generalità degli uomini

Pi nascita
dirittu
cardacìa
di li ràdichi a la storia
st’ammàttitu
m’apparteni. (4)

(Aschi e Maravigghi di Sicilia)

Ma ecco invece, subito dopo, specificata, la radice identitaria, il segno

Sulu tri pilastri
ncucciati cu puzzulana d’amuri
e tennu ‘n-pedi
un munnu. (5)

La puzzulana, pozzolana, in italiano (leggo sul Devoto-Oli), è il «nome generico di polveri vulcaniche»– qui, la Sicilia – «e di altri prodotti capaci di reagire con la calce per dare malte dotate di notevoli proprietà idrauliche e di elevata resistenza alle acque.»

Ma la Sicilia più profonda e affascinante non è nella prucissioni/di judici/manetti/tabbuti, ma in quella espressa negli ultimi bei versi della suite

Matri
sapi d’addauru
zorba
marvasia
lu ciuri spajulatu a la to sciara
e lu ciauru
di li naschi
lu sangu
lu senziu
nun si lava chiù (6)
(Idem)

…E intanto che ci ricorda, il poeta, gli immancabili stereotipi culturali che qui, come altrove e sempre, rivelano incapacità a entrare in mondi che non siano il proprio…

Marini suli coppuli lupara
bagghi templi canzuni marranzanu
cuscusu pisci pupi petra-lava…
facissivu bonu a scurdarivilli! (7)
(Sicilia ci cridi)

…e ci parla di un popolo, quello siciliano, «adagiato sulla storia di un paese del quale condivide il comune patrimonio di sangue di lingua e di civiltà, …ma che sogna di affrancarsi dal giogo ignominioso che lo asservisce»…

Nun la svigghiati cu la scusa: - E’ tardu! –
Sicilia accomora cridi a li sonni. (8)
(Idem)

Legame forte di sangue e di cultura, sicuramente, ci rivelano questi versi ma, soprattutto, desiderio di libertà, fede in un sogno, in un ideale di riconquistata dignità: posseduta per memoria ancestrale in un tempo remoto, indefinito, e poi perduta. Ma si nutre il sospetto che più che di un intero popolo sogni e ideali siffatti sono, forse, prerogativa di poche anime, colte e sensibili:

Ogni sira
cu manu divota
ci jùnciu
un cuppinu novu d’acqua e sali
a lu liveddu. (9)
(Mari)

Altra vena che caratterizza la raccolta esprimendo, forse, la cifra più peculiare di Marco Scalabrino, è quella che vede fondere afflato mistico e amore per la natura. Combinazione che è dato trovare nelle belle poesie Petri e Siddharta.

In Petri, con una concentrazione straordinaria – appena trentatre sintagmi - la condizione umana, colta nei tre momenti che richiamano l’allegoria dantesca, ci viene offerta con un’intensità poetica e figurativa raggelante e sublime al tempo stesso

Allavancu
Allavancu.
«Senza fini.»
***
Mill’anni e chiù
camiannu
la muntagna:
«Oh,
rinesciri
vastedda!»
***
«Musica
musica
e ciauru
ciauru di rosa
e celi
celi di luci
e luci
di sempri
e pi sempri.» (10)
(Petri)

Sprofondamento negli inferi (Allavancu, allavancu), stazionamento nel freddo della pietra (Mill’anni e chiù camiannu la montagna), sogno catartico nella consustanziazione (Oh, rinesciri vastedda) e, infine, eterea condizione (Musica, musica e ciauru, ciauru di rosa…). …La rosa della santità, …la luce eterna, …da sempre e per sempre… Ecco, dunque, l’intera epopea dell’umanità qui felicemente espressa: con sintesi mirabile, con intuizione quasi sovrannaturale, tensione altissima della parola.

In Siddharta, il poeta immagina il Buddha che si fonde nel fiume respirandolo, ascoltandone le voci, e sfiorando, così, la perfezione a cui comunque, egli, giungerà, al termine della sua esperienza terrena, e nel trapasso, divenendo egli stesso natura, origine, entità divina. Aspirazione umanissima quanto disperata, improbabile, raramente riuscita: eppure irrinunciabile e anelata in ogni tempo e luogo, da tante, tantissime persone inclusi gli artisti. I poeti, naturalmente, sensibili e in continuo ascolto della vita, e della sua soglia, per comprenderne i misteri, la scaturigine


e ascutu
sirenu
li soi
milli
vuci. (11)
(Siddharta)

Ulteriore tema su cui vola alta la poesia di Scalabrino è quello degli affetti personali, che trova in Papuzzana una cuspide espressiva di struggente intensità

Satarii
murritii
ti fissii
strulluchii a leta cera cu mia.
Bedda
ogni jornu chiù
leggia e sapurita
farfalla.

Chiù tardu…
quannu poi pigghi volu e ti ni vai
ricordati di sta staciuni persa
di stu sularu di li maravigghi
di stu carduni allaccarutu e sulu
e torna
siddu poi
di tantu in tantu. (12)
(Farfallina)

La scrittura di Marco Scalabrino è sobria, essenziale, vi s’intuisce un lungo e severo lavoro di selezione e sottrazione: per sapienza artigianale, indubbiamente, ma anche per ideale rispondenza con la sua concezione della vita e del far poesia, con la verità profonda, intuita, delle cose descritte. Il poeta non ricorre ad artifici, non cerca l’effetto facile, non segue correnti, mode, scuole, coi loro maestri ed epigoni. La sobrietà dei versi sembra rispecchiare quella del poeta, il suo forte senso etico che qua e là affiora (Scinni, Aschi e Maravigghi di Sicilia, Libirtà, Sicilia ci cridi), parimenti a una serietà di fondo che nasce, probabilmente, più da un sentimento tragico, della vita, che ilare, gioioso: presupposto del realismo comico di molta poesia dialettale.

Gli esiti raggiunti, come si è voluto evidenziare coi testi dinanzi proposti, ci rivelano un confronto ampio con le esperienze tra le più significative del novecento – lo stile richiama infatti subito Ungaretti e Caproni – capaci di legare una sostanza poetica densa con uno stile sicuro e maturo.

I versi che compongono queste poesie sono spesso di poche sillabe, per esigenze ritmiche, per conferire maggiore forza alle parole. Ma ciò non inganni, perché, anche là dove forte è la verticalizzazione del testo (Tempu), si rileva un ordito metrico di endecasillabi spezzati.

In conclusione, possiamo dire che la sicilianità di Marco Scalabrino - allusa dalla scelta del dialetto e finanche dal titolo del libro: un po’ barocco al pari della copertina, che l’incornicia dentro un arco - ben altro ci rivela, come s’è cercato di dire nelle pagine che precedono. E se ci domandiamo se lo spettacolo che Marco Scalabrino ci ha preannunciato con le parole: Tempu palori aschi e maravigghi ci è piaciuto non possiamo che rispondere – grati - affermativamente.


NOTE
(1) (Pietro Gbellini – Poesia italiana vol. VI – Gruppo Editoriale l’Espresso, 2004 – pag. 761.)
(2) (Tempo) Metto su bottega./Ho scovato l’idea/e i requisiti per attecchire:/la licenza, ovviamente/il locale/e la vetrina/a giorno/con l’insegna:/“Compro e vendo tempo/tempo vecchio.”
(3) (Parole) Certe parole sono dure/dure più di altre/ad aggregarsi
(4) (Miserie e meraviglie di Sicilia) Per nascita/diritto/batticuore/dalle radici alla storia/questa combinazione /mi appartiene.
(5) (Idem) Solo tre pilastri/saldati con pozzolana d’amore/e reggono/il mondo.
(6) (Idem) madre/sa di alloro/sorba/malvasia/il fiore scaturito dal tuo rovo/e il suo profumo/nelle narici/nel sangue/nei sensi/persisterà in eterno.
(7) (Sicilia ci crede) Marine sole coppole lupara/bagli templi canzoni marranzano/cuscus pesce pupi pietra-lava…/fareste bene a scordarveli! (“Sicilia ci cridi”)
(8) (Idem) Non la svegliate con la scusa: - E’ tardi! - /Sicilia adesso crede ai sogni.
(9) (Mare) Ogni sera/con mano devota/aggiungo/un nuovo mestolo d’acqua e sale/al suo livello
(10) (Pietre) Dirupo/Rovina./«Senza fine.»/***/Mille anni e più/riscaldando/la montagna:/«Oh/diventare/pane!»/***/«Musica/musica/e profumo/profumo di rosa/e cieli/cieli di luce/e luce/da sempre/e per sempre.»
(11) (Siddharta)
(12) (Farfallina) Saltelli/cincischi/ti pavoneggi/farfugli di buona lena con me./Bella/giorno dopo giorno più/lieve e leggiadra/farfalla./Nel tempo…/quando avrai preso il volo/e te ne sarai andata/ricordati/di questa stagione perduta/di questo solaio delle meraviglie/di questo cardo rinsecchito e solo/e torna/se puoi/di tanto in tanto.

A cura della Redazione Virtuale
16 Marzo 2004

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