Ducumentu
Literatura siciliana - Calaciura - Piove nant'à a piazza Garraffello

Piove su piazza Garraffello

 

Il traghetto per Genova ha mollato gli ormeggi e cerca a naso di bussola la rotta nell'invisibilità del Golfo. Il contrabbandiere del Garraffello, cuore depauperato del mercato della Vucciria, ha sistemato il cartone umido delle sigarette a richiamo. Si ripara sotto i teloni di altri contrabbandi, commestibili e fuori legge per inadempienza igienica. Avvampano intestini di vitellino, rosolano milze nella sugna. E il fumo a ghirlanda vince la gravità della pioggia, si alza e segue di slancio le correnti dei vicoli. E tra quegli odori che prendono agli occhi, che camuffano i fetori di fogna e di pesce abbandonato, il contrabbandiere avverte il profumo del tufo spaccato, la crepa nella compattezza umida dell'aria, il tonfo cardiaco del palazzo suicida che geme, scricchiola e si contorce.

Il contrabbandiere ha riconosciuto i segni delle catastrofi ripetute della città vecchia, i codici delle premonizioni indiscutibili. Messaggi in chiaro per tutti coloro che sono pericolanti e incerti, vacillanti e insicuri, per nascita o edificazione.

Piove da 48 ore. Con la costanza singhiozzante delle metereologie tropicali. A tratti con la ferocia dei rovesci d'agosto, quando Palermo scioglie in acqua i confini di metropoli senza perimetri, città senza colore e senza senso, e a Nord confonde la risacca gonfia del Foro Italico con fenomeni atmosferici di importazione. A Sud la corona delle montagne desertificate trattiene senza sfogo banchi di nuvole e nebbia, verso Altofonte e San Giuseppe Jato, indecise se superare il confine della Portella che apre all'illusione africana della Sicilia. Verso Sciacca, verso il mare verde pistacchio del Canale.

Palermo si prepara alla calamità prevista dall'alluvione, all'ingorgo paralizzato sotto i cavalcavia della circonvallazione, alla burla dell'abbondanza d'acqua dei mesi d'inverno che mai si riuscirà a conservare, come una memoria cattiva, come un rimorso, per rimandare all'estate l'ipotesi dell'erogazione a giorni alterni, oggi no domani sì, nella soggezione oscillante tra siccità e salvezza.

Tutta la città si adegua  al tempo insopportabile scandito dai tergicristallo, alla tentazione dell'oblio, cancellata per un istante sul parabrezza dalla nitidezza dell'acqua. Perché così è stato vaticinato da esperti di apocalisse: questa città sarà salva dai terremoti, dalle carestie e dalle onde anomale del mare, sarà salva persino dalle malattie contagiose grazie alla santa della collina, sarà salva dalla mattanza degli angeli sterminatori di cosa nostra, ma rabbrividirà ad ogni acquazzone di stagione, perché la pioggia che lava e benedice la spazzerà via.

Il contrabbandiere riconosce la breve parabola acuta d'intervento prima della rassegnazione. E si agita. Chiede ai colleghi irregolari venuti al mondo senza autorizzazione, se anche voi avete sentito il gemito d'avvertimento, il singulto che promette sfacelo, anche voi avete avvertito il brivido sismico del crollo che si annuncia. E gli altri lo intravedono appena,  sbiadito oltre la coltre candida del grasso che brucia, lo buffoniamo perché ha confuso ancora una volta il mattino lavorativo con il suo tramonto disperato in taverna a bicchieri di vino zuccherato e compatimento. E invece non ho bevuto figli di cacata, e mi lasciate solo in questa angoscia di annunciazione, mi abbandonate nelle nebbie di questa incertezza. E allora urlo, perché veniate fuori da quell'antro di tufo, scappate disgraziati che vivete solo la notte, e al mattino non vi accorgete di essere già carne da schiacciare. Urlo per la vostra salvezza, e per la mia, per questa simpatia di destini che s'incrociano nel vicolo dell'Argenteria lucido di pioggia, urlo per spezzare l'incantesimo di questo mercato svuotato come una palude bonificata, dove turchi senza turbante camminano come nuotando a coppie randagie di compagnia, senza patria, senza memoria. Dal ventre del palazzo in biblico risponde e fugge la madre nigeriana che fa la pulla nera nei giardini di padre Messina. Nelle notti senza pioggia arrunza cazzi bianchi e freddo nei fusò macchiati da ogni cosa. Fuggono i suoi due bambini che rubano rose alle corone dei funerali dei morti, e le vendono a mille lire nei ristoranti della rinascita del centro storico, nei loro berretti con i paraorecchi, nelle scarpe dell'elemosina domenicale, e camminano vicini vicini per raccontarsi la favola dell'origine. Fugge il commerciante di detersivi preistorici che da mille anni accumula saponi e segatura nell'antro da basso del pianterreno. Vende per spiccioli frammento del suo letargo in confezioni omaggio d'attesa disillusa e sopravvivenza di rinunce. Fugge, si ferma, guarda l'edificio che da sempre è la sua tana, il suo formicaio. Torna indietro perché al mondo nessun posto è più sicuro e antico.

Si è fermata anche la nigeriana con i suoi due figli. Guardano il miracolo del vecchio commerciante che torna indietro, concede uno sguardo e scompare dietro i fusti del Dixan. Il palazzo crolla.

In silenzio, al rallentatore, esalando un fiato giallo di tufo che improvvisamente ha la consistenza della sabbia. La pulla nigeriana si allontana per non tornare mai più. Spinge i bambini oltre il muro degli attoniti. Cerca altri territori in città, segue nuovi sentieri marchiati dalla disperazione delle buttane nomadi.

Il contrabbandiere ha spento l'urlo, ha ritrovato la pace della rassegnazione perché l'urgenza delle premonizioni si è consumata, svuotando la consapevolezza della miseria. Sul vicolo resta a galleggiare l'irrealtà rarefatta della polvere, la puzza di gas delle condutture spezzate. Piazza Garraffello adesso è presidiata dalle volanti della polizia. Devono manovrare a lungo e con difficoltà per lasciarsi superare dai mezzi dei vigili del fuoco e dalla squadra della municipalizzata chiamata ad arginare l'emorragia di gas. Transennano per indicare percorsi sicuri nel dedalo del mercato.

Dalle macerie arriva il lamento del commerciante. Il formicaio gli è crollato sopra polverizzando ogni memoria. A settant'anni è un uomo nuovo. Leggero e senza ricordi, schiacciato da tre piani di fatiscenza. Dalle pietre emerge la sua mano e un piede. È salvo dicono i soccorritori, una trave del soffitto crollata sbilenca ha creato un polmone d'aria e di salvezza. Ancora un antro, un nuovo formicaio, comodo e oscuro come la pancia della madre. Ci resterà solo tre ore. Lo tirano fuori fratturato, bianco per la vecchiaia delle polveri, raggrinzito e innocente come un neonato. Nella traversa accanto c'è una bettola rifiorita all'economia della primavera palermitana. É così adiacente  e nello stesso tempo lontana e indifferente allo sventramento della pioggia che i clienti non vedranno mai la mascella sgangulata di vicolo dell'Argenteria, e mai incroceranno la rassegnazione liberatoria del contrabbandiere che ha spostato altrove il cartone delle sigarette per eccesso di sbirri.

In serata, nelle redazioni dei quattro giornali palermitani arriva un fax dell'ufficio stampa del sindaco. Si congratula con le forze dell'ordine, con i pompieri e i soccorritori per la prontezza e l'efficacia dell'intervento. Ha smesso di piovere. Il cielo adesso è pulito nella città vecchia, quella della Storia.

Nelle periferie cemento e agrumi affondano nel fango, con i cortili ridotti a pantano per giochi di bambini anfibi abbandonati al naufragio e all'affogamento, ma così lontani e separati dalle spiagge e dal mare che potrebbero abitare senza sradicamento città di pianura padana, omologati alla stessa tristezza delle sale giochi dove si attende che spiova nel riflesso a specchio dei video. Da adulti faranno i contrabbandieri.

Giosué Calaciura