Addossato il corpo,

Addossato il corpo, la stanza
Tra i ricordi che qualche naufragio, che il porto
Traduceva, tra le ondate discrete, baci innati a labbra
Che si versavano come il legno vecchio dell'alba.
Rimaneva un pezzo di geranio miserabilmente
Tra i denti aspri di vetro.
E tra i denti del vetro un opale d'ascella.
Un posacenere anatomico e invisibile
Che divoravi con furia, con un desiderio irriducibile e frenetico.
La stanza restava in campagna, desolata, facile preda delle pareti,
Truciolo, sconfitta di occhi celesti che si ghiacciavano, a volte Tutto l'amore trionfante in una litania viscerale.
S'infossava il corpo elettrico dell'amante.
Distruggente la nudità e gli infissi della porta.
Gocciolando sangue per strade piene di natiche vuote e segrete,
o questa impossibilità d'un assedio, d'una ciglia tra i pini.
L'amante, l'amante, suicida dell'ora.
Crepuscolo e vento di carne e mais, restava
Una pozzanghera alla porta di bianchissimo cristallo
E dita tremanti, e seni.
La morte era esperta e ignorante in amore,
Era cielo e telo in bianco e labbra dentro un prossimo.
La stanza ti chiude la porta, i capelli bruni e il corpo, levando Odori di zaffiro e di stella, un vuoto gelido
Nell'umidità di labbra salmastre, piene di radici,
Piene di radici quotidiane.