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Talianu

LITERATURA E SUCETA: ALGHERO E A SO STORIA

Alghero, storia, poesia e lingua in libertà

0. Parlare di letteratura non è mai semplice, un po' perché non è possibile delimitarne per sempre i confini, e molto di più perché la letteratura non può esistere senza una lingua e una lingua è un oggetto morto, se slegata dalla sua storia e dalle dinamiche socio-politiche che la governano.
Per me, proveniente da una patria all'incrocio dei venti e della storia, è ancor più difficile parlare di letteratura prodotta dalla mia terra nella mia lingua, quando questa, nei secoli, ha fatto commercio di sé con altre lingue, altre religioni, altre culture, altri poteri.
La patria di ogni scrittore è la sua lingua, sostengono in molti, e io concorderei se avessi una sola lingua certa. Ma Alghero, la mia casa, durante i millenni ha parlato nuragico e poi punico, e poi latino, e poi sardo, e poi ligure, e poi catalano, e poi castigliano, e poi tedesco, e poi italiano. Io stesso, forse in omaggio alla storia delle chiese e dei palazzi che si affacciano sul mare, sono cresciuto in una famiglia catalana, ho studiato in una scuola italiana ed insegno il castigliano ai bambini.
Perciò, qual'è la mia lingua, dove è la mia patria?
Un mio amico corso afferma che le frontiere vanno vissute, mentre i miei amici giovani di Sassari gridano che le frontiere vanno abbatute. E io scrissi, una volta, che:
Nos som paraules Noi siamo parole
perdudes dins smarrite dentro
aeroports en espera. aeroporti in attesa.
Le due affermazioni non sono in contraddizione tra loro, sono le due facce della stessa moneta. I confini si amano e si odiano insieme, per questo vanno vissuti e combattuti con uguale passione.

1. Sono nato ad Alghero. Una terra inventata per delimitare i confini. Di qua la spiaggia e la roccia, di là il mare. Di qua la malaria e la vita insana, di là le vele dei pirati e la morte bella. Poi comincia la storia catalana. Che percorrerò a grandi passi, per arrivare a parlarvi un poco di me e dei poeti anonimi che hanno cantato la mia piccola patria.
Nel XIII secolo la rocca di Alghero venne edificata e fortificata ad opera di una potente famiglia genovese, i Doria. Nell'ultimo quinquennio di quello stesso secolo il Papa Bonifacio VIII inventò il regno di Corsica e Sardegna per il re catalano. Cinquant'anni dopo, il figlio di quel re, possedeva le città di Cagliari e di Sassari, era alleato della città di Oristano, ma gli mancavano centri importanti in Corsica, per rendere quel regno qualcosa di più di un semplice nome.
Su, nel nord ovest della Sardegna, come ancora è oggi, c'erano due porti, uno Porto Torres, in mano ai Sassaresi già assoggettati e l'altro Alghero, in mano ai genovesi, i nemici. Nel 1354, il re Pietro il Cerimonioso organizzò una grande flotta per conquistare quel porto, distruggerlo e poi, contando sui turritani alleati, partire alla conquista della Corsica. Ma le alte mura genovesi, i magazzini di grano riempiti da Mariano d'Arborea e soprattutto l'epidemia di malaria, costrinsero i catalani ad un assedio di sei mesi che sfiancò l'esercito e il re. A conseguenza di ciò la Corsica venne "sub-infeudata" a Genova e Alghero ripopolata interamente da gente catalana.

2. L'Alguer catalana, perciò, è figlia della guerra e si manterrà catalana finché guerra ci sarà.
Fino a tutto il '400 la Sardegna era in lotta contro i catalani che vi possedevano soltanto le fortezze di Cagliari e Alghero. Poi, "scoppiata" la pace, "scoppiarono" le epidemie di peste e le battaglie sottocosta contro i pirati moreschi. Nel primo lustro del '500 Alghero venne nominata sede vescovile e città regia, e sul finire del secolo ebbe una sede universitaria. Mentre le guerre con la spada non erano ancora finite, iniziava quella ben più aspra e duratura della lotta tra città e campagna, dove Alghero era la città e chiunque vi si inurbasse doveva pagare il dazio imparando la lingua dei palazzi e delle chiese: il catalano.

Tutto questo è un lineare seguito guerreggiato fino all'anno 1700, perché ancora esiste la Corona d'Aragona. Poi scoppia una guerra d'interesse europeo per la successione al trono di Spagna, i catalani parteggeranno per il re sbagliato e perderanno ogni possesso. La Sardegna, in meno di un ventennio, sarà prima austriaca, poi castigliana, poi piemonentese.
Ô con il 1720 che, a rigore, si può cominciare a parlare di letteratura algherese in catalano, perché le lingue ufficiali sono altre: il latino, il castigliano, il toscano.
Ma era un'epoca in cui la conservazione perdeva contro la censura, è ciò di cui abbiamo assoluta consapevolezza sono canti dedicati alla Madonna e odi a questo o a quel principe. Ciò che cantava o declamava la gente non lo sappiamo con certezza, sicuramente si raccontavano leggende legate ad avvenimenti sacri, come quella del recupero miracoloso di una grande scultura lignea raffigurante il cristo crocefisso, o quell'altra di una piccola madonna di pietra che fugge dalle chiese perché ne vuole una tutta sua in campagna.
Dell'800, per fortuna, abbiamo una maggiore memoria scritta, e ai canti alla Madonna e alle odi ai principi si uniscono i sonetti amorosi e i lamenti verso la città che comincia ad essere saccheggiata da urbanisti in vena di speculazioni. Le muraglie da parte di terra vengono abbattute e gli impresari guadagnano tre volte: per abbattere, per portare via i detriti e per ricostruire più in là.
Si ha documentazione di operette satiriche ispirate da sacerdoti troppo dediti alla cura del corpo, o da matrone di bassa categoria sociale che avrebbero voluto accasare le loro figlie a buoni partiti, o da ingenui che vanno alla ricerca di tesori inesistenti scavando nel pavimento di un'antica sinagoga.
La gente continua a raccontarsi leggende sempre più personalizzate, come quelle in cui si parla di lupi mannari che invece erano mariti traditi oppure pedofili appartenenti a famiglie intoccabili. E, oltre i canti sacri, cantava d'amore, di cielo e di denaro. Lamentando il rincaro dei prezzi, i genitori di lei troppo severi e la bellezza e la pericolosità del mare.

3. Poi viene l'ultimo decennio del XIX secolo e, almeno culturalmente, Alghero ridiventa catalana, perché a Barcellona c'è già stata la Reinaxença Catalana, e il "miracolo" conservativo della lingua catalana di Alghero (conservatasi dentro uno Stato di re guerrieri senza lingua - i Savoia adotteranno l'italiano solo quando affermeranno le proprie mire espansionistiche verso il territorio peninsulare) serve all'immagine del "català invictible". Ô un susseguirsi di viaggiatori dai territori catalani verso Alghero e da Alghero verso Barcellona in particolare. Viaggi più spesso virtuali, fino agli anni '50 di questo secolo, ma non per questo meno significativi. I giovani intellettuali algheresi avviarono, allora, una sorta di rito d'iniziazione ancora oggi vigente: non si è uomini di Alghero finché non si pubblichi uno scritto (non importa di che genere) su una rivista catalana, oppure, aggiornando "l'iniziazione" negli anni, non si rilasci un'intervista a un periodico, una radio o una televisione catalana, non si dia una conferenza in una delle cento università, non si reciti o canti in un teatro catalano, non ci si possa fregiare di un bacio scambiato sulle Ramblas o immersi nel verde di Montjuc.
Ho già detto che è difficile sempre parlare di letteratura, e più difficile è per chi, come noi algheresi, vive in una piccola casa chiusa tra mura di guerra fino agli inizi del secolo, e chiusa da muraglie virtuali ancora ai nostri giorni. Dove il poeta, il narratore, il pittore, il musicista non sono mai semplici figure concrete-astratte (concrete nel loro essere esistenti, astratte nel loro essere produttrici di arte) ma concrete-concrete (mio nonno, lo zio di mio cugino, il padre del mio compagno di banco, quell'imbecille del vicino il cui cane distrugge i miei fiori...), e allora si fa impossibile scindere "letteratura" da "contesto", "testo" da "extra-testo". Per cui il poeta "laureato" algherese non è mai un poeta intero ma un religioso-poeta (Francesc Manunta), un generale dei servizi segreti fascisti-poeta (Rafael Catardi), un maestro elementare-poeta (Rafael Sari) e mi limito a questi tre nomi perché i poeti-politici sono ancora viventi.

4. Ô difficile parlare di letteratura algherese in catalano perché, probabilmente, non è mai esistita. Chi scrisse e chi scrive in catalano-normativo (lo stesso che si usa a Barcellona) si iscrive e appartiene alla letteratura catalana; chi scrive nella lingua che parla la gente per strada, "l'alguerés", si iscrive e appartiene alla letteratura sarda e a quella dialettale italiana. Per cui, mi accorgo di parlare di una cosa che non esiste, se non sul piano della sociologia e della antropologia letteraria; e allora voglio concludere ricordando a voi e a me stesso quale sia stato il momento più alto della produzione artistica nella lingua di Alghero.
Come ho già sostenuto, la storia di Alghero è una storia di guerre, ed è questa stessa storia di guerre a conservargli la lingua. L'ultima guerra combattuta con le armi, la seconda guerra mondiale, però, non ha dato pretesto a guerre successive ma a un lungo e imprevedibile periodo di pace. La Sardegna viene liberata dalla millenaria piaga della malaria in cambio della messa al bando dei comunisti e i giovani imparano a divertirsi come suggeriscono i soldati alleati.
In questo clima, un gruppo di univesitari decide, alla fine degli anni '40, di mettere su un "musical", anzi, un'operetta. Ma non un'operetta qualunque e per chiunque: una commedia musicale in algherese per algheresi. Quei giovani ci sanno fare e non hanno scrupoli filologici. Qualcuno di loro ha lavorato, o sta lavorando a una tesi di laurea sulla letteratura popolare dell'800 e ha saccheggiato cassetti, cartelle e archivi di nonni, zii e fratelli maggiori ed ha trovato testi teatrali inediti, canzoni dimenticate e anedotti curiosi. Ne vengono fuori due o tre plagi di grande presa popolare. Ô un trionfo. La città di Alghero si riapproria, meglio sarebbe dire reinventa, la sua tradizione letteraria-popolare.
Senza dubbio è il momento più alto. Poi, però, il teatro in cui si realizzavano quegli allestimenti viene chiuso (e lo rimarrà per oltre trent'anni, finché l'onda algheresista non diverrà minoritaria); il tema linguistico si politicizza prima moderatamente a sinistra, poi decisamente a destra con l'arrivo di generali italiani catalanisti e di spagnoli catalanisti non invisi al regime franchista. Intanto gli stati moderni introducono la scuola dell'obbligo impartita esclusivamente nella lingua nazionale e le grandi reti industriali si appropriano dell'invenzione del secolo: la televisione (The Big Brother).
Scoppiata la pace, in Italia e nel mondo Atlantico-Occidentale, iniziano le guerriglie urbane reali e virtuali che parcellizzano l'universo sociale in tanti piccoli e piccolissimi gruppi d'interesse. Nel caso della piccola città sarda turisticamente catalana, questo ha significato, dal punto di vista letterario, la perdita della lingua come espressione maggioritaria e unificante.
Mai, come oggi, la mia piccola patria ha prodotto tanti bravi poeti, cantautori e narratori dialettali, ma non si tratta più di un fenomeno che interessi la città intera. Si tratta di una manifestazione tra le altre. Per ogni "letterato" in lingua catalana Alghero offre dieci letterati in lingua italiana, tre in lingua sarda e un altro per le lingue maggioritarie europee: inglese, francese, tedesco, più un quarto di olandese, un quarto di spagnolo e altri due quarti difficili da collocare.

5. Infine. Sicuramente la mia posizione è parziale e ingiusta, i venticinque poeti catalani di Alghero sono tutti meravigliosi e io sono l'unico a non riuscire a capirlo. Però, la stragande maggioranza dei bambini non parla l'algherese e solo una minoranza è certa di capirlo. I giovani che scrivono convinti di fare letteartura lo fanno in italiano e in inglese...
Mi fermo qui e chiedo: a che serve la poesia se non è capace di salvarsi la lingua?