Versione :
Talianu

LAUNEDDAS

 

Launeddas

Testo scritto nel 2002 su soggetto di Mariano Corda e utilizzato in un suo laboratorio teatrale con ragazzi di scuola media
Personaggi

PASQUALE SUITTU
ANTIOGU PIXI
BASILI PEDDIS
MANUELA PIXI
PASTORE
VETERINARIO
MUSICISTI
UOMINI
DONNE
PECORE
0. La scena rappresenta una piazza di paese. Potrebbe esserci una fontana, un vecchio albero, qualche panca di pietra o di legno, botteghe artigiane e uno spaccio alimentare sullo sfondo.

1. PASQUALE, UOMINI, DONNE
PASQUALE suona una musica da ballo con un flauto di canna. Batte ritmicamente il piede e prova e riprova gli attacchi, finché non gli riesce di azzeccare un “ballo” senza interruzioni o tentennamenti, tanto che due ragazzine che erano allo spaccio non riescono a trattenersi e improvvisano una danza, e un giovanotto che era dal calzolaio le prende sotto braccio e balla con loro. In maniera spontanea e senza nessuna malizia. Pasquale smette di suonare e l’incanto finisce.

UOMO: Siete proprio brave!
DONNA 1.: E de ite, si non haíamis balladu mai, innanti!
DONNA 2.: Oi, ite birgonza! Nemmeno la vergogna di chi ci ha visto, ballare in piazza di giorno, e senza nemmeno festa.
PASQUALE: E vergogna di cosa? Vergogna è rubare, cercare di essere contenti senza fare male a nessuno non è mai vergogna.
UOMO: Bravo Pasquale, pure poeta sei, oltre che musicista.
DONNA 1.: Poeta non lo so, ma come musicista sei proprio una cannonata, Pasqua’!
DONNA 2.: Istati muda! Che non è tuo fratello. Non dare confidenza a chi non conosci.
PASQUALE: Ma se siamo vicini di casa da tutta la vita!
DONNA 2.: Questo non vuol dire.
UOMO: E non vuol dire no, che l’uomo è uomo e la donna è donna.
DONNA 1.: Così è, purtroppo.
DONNA 2.: E ite purtroppo e purtroppo, aiò a domo, aiò!
PASQUALE: Sarà come dite voi, ma io non ci vedo niente di male a suonare e ballare insieme, se non lo facciamo adesso che siamo giovani, quando lo possiamo fare, dae che so betzo ca troddo?
UOMO: Già ci hai ragione, ma non è che le cose si possono cambiare dall’oggi al domani e quindi, onziunu in domo sua…
PASQUALE: E pira cotta e pira crua! Boh, io non vi capisco a voi vecchi!
UOMO (offeso): A chie lu ses nende, betzo? Bruttu jempru chi non ischis sonare mancu a balla!
DONNA 1.: No, no, manco a me mi piace la musica tua.
DONNA 2.: Pucci, nemmeno le launeddas ha, questo Pasquale. E lui si crede musicista. Vai, vai! (Escono.)
PASQUALE: Avete ragione, almeno avessi delle launeddas. Allora sì che sarei davvero un musicista.

2. PASQUALE, MUSICISTI
Entrano un suonatore di fisarmonica insieme a un suonatore di launeddas.

MUSICISTA 1.: Eri tu che suonavi?
PASQUALE: Sì!
MUSICISTA 1.: Sei bravino, inue as imparadu?
MUSICISTA 2.: Eh, bravino, bravo è!
PASQUALE: Grazie! Ho imparato da solo. Ma con questi pezzi di canna fatti alla buona, non è che possa fare più di tanto.
MUSICISTA 1.: Seguimi in questa danza, aió! (Il fisarmonicista intona una danza. Subito dopo s’inserisce il suonatore di launeddas e finalmente anche Pasquale.)
MUSICISTA 2.: Bravo, bravo a veru!
MUSICISTA 1.: Ma può fare di più.
MUSICISTA 2.: Ma non ti accontenta niente a te!
PASQUALE: Lo so che potrei fare di più, se soltanto anch’io avessi delle vere launeddas.
MUSICISTA 1.: E perché non te le fai? Lesina, spago e pece, un paio di belle canne di fiume…
MUSICISTA 2.: Eh, già la fai poco facile, tu! In queste cose, o sei bravo o non sei bravo. A ognuno il mestiere suo, le launeddas le suona il musicista ma le fabbrica il ciabattino, che la pece non è cosa di tutti.
PASQUALE: Allora, queste launeddas che avete suonato, non le avete fatte voi?
MUSICISTA 2.: Macché, custas sunt cosa de Antiogu Pixi.
PASQUALE: Il ciabattino del paese.
MUSICISTA 1.: Emmo. Malu comente su fogu ma bravu comente s’abba.
MUSICISTA 2.: Bravissimo, nessun altro, in Sardegna, costruisce launeddas come le sue.
MUSICISTA 1.: Ma caro, caro e cattivo.
PASQUALE: Allora io non potrò mai farmele costruire da lui…
MUSICISTA 1.: Macché!
MUSICISTA 2.: I chi lo sa, prova a chiederglielo. Io gliele ho chieste e lui me le ha fatte.
MUSICISTA 1.: E già lu creo, t’est custau battor arveches.
MUSICISTA 2.: Niente, in confronto al loro suono. E adesso ci ritorno, che le voglio ancora più perfette.
MUSICISTA 1.: Chimbe arveches, custa vorta.
MUSICISTA 2.: Chimbe, ses, e ite m’importat!
PASQUALE: Posso venire con voi?
MUSICISTA 1.: No!
MUSICISTA 2.: Sì, ma rimani fuori, entri soltanto quando noi siamo già usciti. (S’incamminano verso la bottega del calzolaio.)

3. PASQUALE, MUSICISTI, ANTIOGU PIXI
I due musicisti parlano con il ciabattino mentre PASQUALE attende a debita distanza. Non percepisce i discorsi di quegli uomini ma vede e sente la risata infernale di ANTIOGU PIXI. Alla fine i musicisti vanno via.

PASQUALE: Come è andata?
MUSICISTA 1. (arrabbiato): Deghe arverches. Dieci.
MUSICISTA 2. (come in trance e con le nuova launeddas tra le mani): Anche dodici gliene davo, anche venti.
MUSICISTA 1.: Cittu, che se ti sente te ne chiede trenta.
MUSICISTA 2.: Anche trenta, anche quaranta.
PASQUALE: Io non ce le ho tante pecore.

I musicisti escono e ANTIOGU PIXI. si avvede di PASQUALE.

PIXI: Hai scarpe da ritirare?
PASQUALE: No.
PIXI: E allora passi lunghi e distesi, vai, corri
PASQUALE: Ecco, io sono un musicista.
PIXI: E potevi dirlo subito. Che tipo di launeddas vuoi?
PASQUALE: Non saprei…
PIXI: Come ti chiami?
PASQUALE: Pasquale Suittu.
PIXI: Ho sentito parlare di te, dicono che sei proprio bravo, coi pifferi. Ma perché non sei già passato alle launeddas, uno strumento da uomo, e non quelle cannucce da poppante che hai usato fino adesso.
PASQUALE: Perché non è facile costruirsele da soli…
PIXI: E non è facile no, altrimenti, io, che cosa ci sto a fare? Allora, guarda qua. (Gli mostra un campionario di canne.) Quale vuoi prendere?
PASQUALE: Posso? (Ne prende alcune una dopo l’altra e le saggia. Finché trova le launeddas che cerca e si produce in un assolo.)
PIXI: Non si sbagliavano proprio. Custas sunt sas launeddas tuas.
PASQUALE (titubante): Quanto volete.
PIXI: Queste sono speciali… Trenta pecore.
PASQUALE: Quanto?
PIXI: Venticinque, perché mi sei simpatico…
PASQUALE: Non posso.
PIXI: Venti perché sei davvero un bravo musicista, ma nemmeno una di meno e non dirlo a nessuno, che altrimenti mi fai cattiva pubblicità.
PASQUALE: Non posso.
PIXI: Ventidue ma a rate, undici pecore subito e undici a Natale.
PASQUALE: Mi dispiace, ma io non ho un gregge, sono un servo pastore.
PIXI (strappandogli le launeddas dalle mani): Vai, vattene via, morto di fame, corri più in fretta che puoi se non vuoi che ti faccia mangiare vivo dai miei cani.
PASQUALE: Potrei lavorare per voi, in cambio…
PIXI (furente): Vattene via, se non vuoi che ti spacchi la testa a martellate!

4. PASQUALE, BASILI PEDDIS
PASQUALE passa davanti alla bottega di un altro ciabattino, ma è affranto e non si accorge che anche quello ha delle launeddas appese all’ingresso.

PEDDIS: Pasquale Suittu!
PASQUALE: Ei, chie mi gheret?
PEDDIS: Eo so, Basili Peddis. Non mi connosches?
PASQUALE: Ma certo. Siete un amico di mio nonno Pasquale.
PEDDIS: Proprio, Pasquale Suittu, s’amigu meu piùs caru. Bonànima.
PASQUALE: Era proprio una brava persona, mio nonno. È stato lui a insegnarmi a suonare il flauto di canna.
PEDDIS: Su suittu, su pipiolu, sas launeddas.
PASQUALE: Ma è morto da così tanto tempo…
PEDDIS: Quando ancora eri troppo piccolo e non riuscito a insegnarti a costruire una launedda come si deve.
PASQUALE: E no, purtroppo!
PEDDIS: E va bé, non c’è riuscito tuo nonno, ma posso riuscirci io.
PASQUALE: Davvero, davvero lo fareste?
PEDDIS: E perché no? Se tuo nonno è riuscito a insegnare a me e a quell’ingrato di Antiogu Pixi, perché io non potrei insegnare proprio a te, che ti chiami Pasqaule Suittu esattamente come lui?
PASQUALE: Grazie, grazie, quando cominciamo.
PEDDIS: Domani, domani cominciamo. Adesso prendi queste launeddas, studiale, esercitati a suonarle e poi vieni da me, quando vuoi.
PASQUALE: Ma… Non posso. Non ho né denaro e né pecore per pagarvi.
PEDDIS: Non importa, mi ripagherai con qualche giornata di lavoro in vigna.
PASQUALE: Va bene, va bene. Lavorerò un mese intero.
PEDDIS: Ma nemmeno per sogno!
PASQUALE: Sei mesi?
PEDDIS: E ite se nende?
PASQUALE: Un anno, lavorerò per voi un anno, dall’alba al tramonto.
PEDDIS: Ma maccu ses? Ho detto qualche giorno. Il tempo di togliere le erbacce. Due, tre giorni al massimo.
PASQUALE: Grazie, grazie. Basili Peddis, lei è un santo.
PEDDIS: E non esagerare, adesso. Vai, vai a esercitarti, vai.

5. PASQUALE, ANTIOGU PIXI, BASILI PEDDIS, UOMINI, DONNE
È la festa di San Pantaleo.

UOMO 1.: Oé compà, a nos che la bufamus una tatza e binu?
Uomo 2.: Una?, duas m’inde buffo.
UOMO 3.: Ello tando!
DONNA 1.: Intesu l’as?
DONNA 2.: E de ite?
DONNA 3: Nara, nara.
DONNA 1.: De so musicante chi benit a sonare a su sero?
Donna 2.: Ei, sunt nende chi est unu bravu bravu.
DONNA 3.: Eo puru l’appu intesu.
UOMO 1.: Bravu? Su piùs bravu de tottu sardigna est!
UOMO 2.: Ei, chi non est unu dimòniu, no?
UOMO 1.: Si ti lu so nende. Non mi crees a mie?
Uomo 2.: Cant’as buffadu?
UOMO 3.: E tando bi lu priguntamus a custa bellas picciocas?
DONNA 1.: E ite mi cheres priguntare, cant’at buffadu s’amigu tou?
Uomo 2.: Nono, cant’est bravu custu sonadore de launeddas chi semus isettende.

Entrano i due musicisti.

MUSICISTA 1.: Pasquale Suittu è il miglior suonatore di launeddas che abbia mai ascoltato.
MUSICISTA 2.: E sarebbe ancora più bravo se potesse usare launeddas all’altezza della sua bravura…
UOMO 1.: Come quelle che sa costruire quello stregone di Antiogu Pixi.
DONNA 1.: Cuddu brusciu.
MUSICISTA 2. (mostrando le sue launeddas): Come queste!
DONNA 3: Zitti, se non mi sbaglio quell’uomo è proprio lui.
UOMO 3.: Parli del diavolo e ne spuntano le corna.

Subito dopo ANTIOGU entrano PASQUALE e BASILI insieme. Pasquale è accolto da un applauso e comincia a suonare. Dopo qualche giro s’interrompe e invita i due musicisti a suonare con lui. È festa grande, tutti ballano.

UOMO 1.: Comente ballas bene!
DONNA 1.: Tue puru non ses malu.
DONNA 2.: Comente ti jamas?
Uomo 2.: Zuanne Pintore. E tue?
UOMO 3.: Ite mi naras, si cras sero benzo in domo tua?
DONNA 3: Beni a sa sette, chi b’est babbu meu.
MUSICISTA 1.: Grazie, grazie, ma soprattutto grazie a Pasquale Suittu. Il miglior launeddista de totu Sardigna.
MUSICISTA 2.: De totu su mundu, si at a sonare cun custas launeddas. (Gli porge le proprie launeddas.)
PASQUALE: Non posso, sono troppo preziose, per me.
MUSICISTA 2.: Se non accetti mi offendi.
PEDDIS: Niente è troppo prezioso per l’arte tua.
PASQUALE: Grazie. (Abbraccia il musicista.)
PEDDIS: Basta con baci e abbracci, dimostra che sei contento con i fatti: suona!

PASQUALE suona come non ha mai fatto, nessuno può trattenersi dal ballare, nemmeno ANTIOGU PIXI.

PIXI (arrabbiato perché è stato preso sottobraccio per il ballu tundu): Lasciatemi stare, lasciatemi stare. (Poi, rivolto a Pasquale:) Non sono tue quelle launeddas, ma mie; io non te le ho vendute: chi su dimmoniu siada in su secundu passu cosa tua!

Non appena viene pronunciata la maledizione BASILI PEDDIS lancia un urlo di dolore e stramazza al suolo.

PASQUALE (interrompendo la musica): Basili, ite tenes?
PEDDIS: Non est nudda, sa betzesa est, tue sighe a sonare, sighe a sonare…
PASQUALE: Basili! Basili!
MUSICISTA 1.: Est mortu.
MUSICISTA 2.: Andate a chiamare un medico, presto!
UOMINI: Aiò! (Escono.)
DONNE (nel tipico lamento delle prefiche): Oi, cantu fiat bonu… Oi, cantu fiat bellu…
PIXI: Oi, cantu fiat maccu! (Esce ridendo satanicamente.)

6. PASTORE, VETERINARIO, PECORE, VOLPE
Siamo in campagna, la VOLPE rimane sempre nascosta, ma visibile al pubblico, fino all’ultimo dialogo.

PASTORE: E tando, o su duttori, ite tenent sas arveches mias?
VETERINARIO: Nulla, le ho visitate una per una e stanno benissimo, sono sanissime.
PASTORE: Ih, sanissime!
VETERINARIO: Latte ne danno?
PASTORE: Tanto!
VETERINARIO: Lana ne hanno?
VETERINARIO: Anche troppa!
VETERINARIO: E allora è tutto apposto.
PECORA 1.: Eo puru ti l’aia nadu, pastore maccu.
PECORA 2.: Maccu.
PECORA 3.: Maccu de unu pastore.
PASTORE: Su dutto’, e non l’intende, custas non sunt sanas.
VETERINARIO: E invece no, amico mio, sono sane, sanissime.
PASTORE: E tando po ite faeddant?
VETERINARIO: Custu non l’isco!
PECORA 1.: Ma duttori est custu?
PECORA 2.: E ite duttori e duttori, un’iscempru est.
PECORA 3.: Sas arveches semper ant faeddadu, semper.
PECORA 1.: Sa maghia non est chi noi faeddamus…
PECORA 2.: Ma chi bois nos intedides.
PECORA 3.: Lampu!
PASTORE: Ma le sente, pure impertinenti, sono.
VETERINARIO: Magari hanno ragione, io ne capisco poco di magie.
PECORA 1.: Non una magia, ma una maledizione.
PASTORE: Ite?
VETERINARIO: Quale maledizione?
PECORA 2.: Zitti e ascoltate.
PECORA 3.: Incomintza, dimo’!
PECORA 1.: State a sentire. La prima volta che Pasquale Suittu ha suonato in piazza, ite b’at sutzessu?
PASTORE: Boh?
PECORA 2.: Si è oscurato il cielo ed è cominciato a piovere una strana acqua rossa come il sangue.
PECORA 3.: E sa segunda, a sa festa di Serdiana?
VETERINARIO: Non mi l’ammento.
PECORA 1.:II secondo spettacolo era a Serdiana. Ma Pasquale aveva appena iniziato a suonare che fu subito interrotto dal grido di una giovane che disperata si precipitava fuori di casa. Degli strani insetti erano sbucati dalle crepe della sua stanza ed avevano invaso l'abitazione. E mentre riferiva l'accaduto, arrivò altra gente che lamentava la medesima situazione in casa propria. Il paese cadde nella disperazione: talmente era invaso dagli insetti.
PECORA 2.: E a Soleminis? Mentre la sua musica si spandeva nell'aria, un'atmosfera di morte cominciò ad aleggiare sulle campagne. La vegetazione si seccò e i campi si inaridirono. Un anno intero di carestia.
PECORA 3.: A Ballao, le persone che un attimo prima sorridevano divertite, di colpo invecchiarono dopo le prime note. Solo il medico del paese, non ancora tornato dalla caccia, non era invecchiato. “Ma non sarà colpa tua, o Pasquale Suittu!”. Ma lui non voleva ancora crderci
PASTORE: E tando?
VETERINARIO: E làssalas faeddare.
PECORA 1.: A Monastir la gente perse il controllo del proprio corpo: chi cercava di camminare si sentiva sospinto all'indietro, chi cercava di alzarsi non poteva che ricadere, e quando invece tentava di stare seduto, facendo resistenza e aggrappandosi alle cose come poteva, una strana forza lo trascinava via. Un vero caos. Soltanto il maresciallo dei carabinieri, che da due giorni era sordo per una fucilata, riusciva a mettere un po' d'ordine tra quella "folla indisciplinata". Ma ogni volta che ne prendeva uno, gli sfuggiva quello prima e così via…
PECORA 2.: Finalmente, est arribau in Sant' Andrea Frius. Totu sa gente in piatta, finas sos pastore cun sus masones.
PASTORE: È vero, è stato lì che hanno cominciato a parlare. La gente applaudiva, gridava bravo, bravo. E invece erano le pecore…
PECORA 3.: E finas sos canes, sas cabras, sos caddos e sos matzones!
PASTORE: Su matzone? Essi chi l’isparo!
VETERINARIO: Attento a non rovinargli la pelliccia.
PECORA 1.: Corri su matzó!
PECORA 2.: Curre!
VOLPE: Aiuto, aiuto, aiuto…

7. PASQUALE, VOLPE
La VOLPE corre all’impazzata e va a sbattere contro PASQUALE che corre affannato dall’altra parte.

PASQUALE: Non mi picchiare, non mi picchiare!
VOLPE: Non mi ammazzare, non mi ammazzare!
PASQUALE: Non è colpa mia, non è colpa mia.
VOLPE: Non ho fatto niente, non ho fatto niente.
PASQUALE: Ma chi sei, una volpe parlante?
VOLPE: E tu chi sei, un suonatore di launeddas?
PASQUALE: No, non è vero, sono un pescatore, questa è una canna da pesca.
VOLPE: Tu sei Pasquale Suittu, io ti conosco.
PASQUALE: Impossibile, non conosco volpi, io. E poi non c’entro niente con tutte le cose che sono accadute nei paesi.
VOLPE: Di che cosa parli? Raccontami tutto.
PASQUALE: È troppo lungo, non mi crederesti mai.
VOLPE: Raccontami soltanto l’ultima cosa.
PASQUALE: Ero a Escalaplano, e appena ho cominciato a suonare il cielo si è oscurato. Il buio più completo. La gente del paese ha cominciato a gridare: "Motti! Arrori mannu. Su dimoniu esti arribau! Su strangiu ei su dimoniu! Su strangiu!" In un attimo tutti si accanirono contro di me. Hanno cercato di uccidermi a bastonate e sono fuggito.
VOLPE: Allora ho ragione, sei Pasquale, e quelle launeddas sono state fabbricate da Antiogu Pixi, da mio padre.
PASQUALE: E ite ses nende, tue ses unu matzone, non puoi essere la figlia di Antiogu!?!
VOLPE: E invece sì. Sono sua figlia, Manuela.
PASQUALE: Non è possibile, io me la ricordo bene Manuela, era una giovane bellissima, è morta da ragazzina.
VOLPE: E invece no, non sono morta, sono andata via di casa perché non volevo più accettare di vivere con uomo cattivo come mio padre, e lui mi ha maledetta, come ha fatto con te.
PASQUALE: Non posso crederci, perché mi avrebbe maledetto?
VOLPE: Perché usi le sue launeddas meglio di chiunque altro non gliele hai pagate, soltanto per questo.
PASQUALE: Io lo brucio questo strumento del demonio.
VOLPE: Non è necessario. È sufficiente che butti la vecchia cera d’api e la sostituisca con cera nuova.

PASQUALE armeggia sulle launeddas e poi butta via qualcosa.

VOLPE: Attento, di chi è la cera che vorresti usare?
PASQUALE: Di Basili Peddis.
VOLPE: Usala e suona.
PASQUALE: E se s’incendiasse il bosco?
VOLPE: Non avere paura, suona.

PASQUALE suona e non succede niente, anzi, qualcosa accade, la VOLPE perde il pelo e diventa la giovane MANUELA.

8. PASQUALE, MANUELA, MUSICISTI, CORVO
Entrano i MUSICISTI.

MUSICISTA 1.: Ho sentito una musica di launeddas!
MUSICISTA 2.: Veniva da lì!
MUSICISTA 1.: Sei tu, disgraziato!
MUSICISTA 2.: Non devi più suonare, vuoi farti uccidere? La tua musica è maledetta!
MANUELA: Non più, l’incantesimo di mio padre è finito.
MUSICISTA 1.: Chi sei?
MUSICISTA 2.: Come mai non è tutto bruciato, qua intorno?
MANUELA: Sono Manuela Pixi, e Pasquale Suittu non ha più niente da temere.
MUSICISTA 1.: La figlia di Antiogu?
MUSICISTA 2.: Cuddu brusciu?
PASQUALE: Sì, è la figlia di Antiogu Pixi. Tutti la credevamo morta e invece era stata trasformata in volpe dalla maledizione del padre.
MANUELA: Ed è stata la musica di Pasquale ha rompere l’incantesimo.
MUSICISTA 1.: Allora, non sei più maledetto?

Entra un CORVO.

MUSICISTA 2.: Via, via, uccello del malaugurio!
MANUELA: Non lo mandate via, è un mio amico, anche lui è stregato, è…
CORVO: Sono un amico, e questo basta, mentre per la maledizione di Antiogu Pixi, invece, c’è ancora molto da fare.
MUSICISTA 1.: Che cosa vuoi dire?
MUSICISTA 2.: Spiegati!
PASQUALE: Ma come, non bastava buttare via la cera d’api?
MANUELA: Sì, per la tua musica, ma non per restituire la salute e la serenità alla gente dei paesi dove tu hai suonato.
PASQUALE: Che cosa debbo fare?
CORVO: È semplice, devi suonare in tutti i paesi dove hai portato lutto e disperazione e rimettere le cose apposto.
MUSICISTA 2.: È impossibile, se lo trovano lo uccidono. Pensa che cacciano via dai villaggi, dai paesi e dalle città ogni suonatore, non importa né lo strumento né la sua bravura.
PASQUALE: È vero, è così!
MANUELA: Dobbiamo farlo, dobbiamo riuscirci, ma dobbiamo anche neutralizzare tutti gli elementi maledetti da mio padre.
PASQUALE: Non capisco!
MUSICISTA 1.: Nemmeno io.
MUSICISTA 2.: Forse io sì. Pasquale ha sostituito la cera, ma non la pece e nemmeno le corde.
CORVO: Tutti elementi di Antiogu…
PASQUALE: Tutti maledetti.
MANUELA: Hai capito, adesso?
MUSICISTA 1.: Sostituiamoli con altra pece ed altre corde!
MUSICISTA 2.: Non capisci, se cambiamo quelle cose cambiamo anche il suono delle launeddas e non possiamo sciogliere la maledizione.
MUSICISTA 1.: E comente faghimus?

Sono pensierosi e preoccupati, finché il CORVO si erge in piedi e li invita a entrare sotto il suo mantello.

CORVO: Ascoltate!

9. TUTTI
Siamo di nuovo nella piazza, anche se buia e ventosa è affollatissima di gente stranissima, ci sono giovani vecchissimi, gente che cammina all’indietro inseguita dal maresciallo, pecore parlanti, mendicanti miserrimi, insetti grandi come cavalli.
Intabarrati entrano PASQUALE e gli altri. La gente impazzita sembra non far loro caso. I cinque si dispongono strategicamente. I MUSICISTI ai due lati estremi della scena, PASQUALE al centro e MANUELA e il CORVO accanto alla bottega di ANTIOGU che aggiusta scarpe e se la ride. Al segnale del CORVO il fisarmonicista attacca a suonare. La gente si butta tutta su di lui per linciarlo. Allora è la volta del suonatore di launeddas. La gente è come impazzita. Vuole fermare la musica e viene “rimbalzata” da una sponda all’altra della scena. ANTIOGU, insospettito, esce dalla sua bottega; MANUELA gli si para davanti.

MANUELA: Padre!
PIXI: E ite bi faghes, inoghe, bruscia mala!

In quell’istante prende a suonare Pasquale. Da prima la gente sembra che stia per morire, poi, al suono della musica, tutto si rasserena, ritorna alla normalità alla danza. ANTIOGU PIXI rientra nella sua bottega, ma vi trova il CORVO, che gli lega le mani con la sua stessa corda e gliele sigilla con la sua stessa pece. PASQUALE continua a suonare, ed anche il CORVO riacquista le sue antiche sembianze, è BASILI PEDDIS.

10. TUTTI

PEDDIS: Zente de Sardigna, custu est su contu. Sa disperatzione bostra est istada culpa de cust’òmine malu, ite gheride chi li feta?
DONNE: Damílu a lu bocchire!
UOMINI: Interradu biu!
MUSICISTI: Mortu a corfos de pedra!
PASQUALE: No, non lo uccidete!
MANUELA: Non merita perdono, ma non lo uccidete, è sempre mio padre.
PASQUALE: Il miglior costruttore di launeddas di tutta la Sardegna.
UOMINI E DONNE: Bòcchilu, bòcchilu!
PEDDIS: Ascoltate, la sua stregoneria non ha più nessuna forza, è stata vinta dall’amore e dal perdono, ogni cosa è tornata alla normalità, perché sporcarla con un altro crimine? Lasciamolo vivere, lasciamo che impari il significato del verbo amare.
MANUELA: Che cosa decidi, padre mio, vuoi stare con gli uomini da persona buona, o vuoi morire da giustiziato come un volgare assassino?
UOMINI E DONNE: Sona, Pasquà, sona e poni a ballare.

I MUSICISTI danno del loro meglio e tutto intorno e festa. Anche ANTIOGU PIXI e sua figlia MANUELA ballano in tondo.