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Talianu

Teatro a, con, per, scuola

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0. Ho accettato con piacere e una punta d’orgoglio l’invito a partecipare a questo congresso perché la Corsica ha sempre fatto parte del mio immaginario e non l’ho mai pensata come una Terra-altra, ma sempre come una Terra-mia, un luogo della mente e dello spirito che mi appartiene.
Ci venni per la prima volta tantissimi anni fa, da ragazzo, per festeggiare l’ultimo anno di liceo, ma ci ero già venuto tante volte con l’immaginazione, insieme ai miei amici che non avevano finito gli studi e che si erano imbarcati su pescherecci che costeggiavano i vostri mari.
L’orgoglio, poi, mi nasce dal verificare che il mio mestiere di insegnante non finisce nel chiuso dell’aula scolastica ma solca i mari come i miei amici pescatori e sbarca nella Terra-reale della fantasia, che non è una contraddizione in termini, ma semplicemente una delle mille possibili definizioni del Teatro.

0.1. Fare Teatro e farlo a Scuola, è ciò che faccio, è ciò che ho sempre fatto; fin dal mio primo giorno da scolaro, recitavo la parte del bambino timido ma educato, come adesso recito la parte del maestro scorbutico ma sapiente, a volte molto scorbutico e spesso poco sapiente.
La teatralità a scuola è, banalmente, la quotidianità: insegnanti e studenti recitano un ruolo che interpretano a soggetto inventando ogni mattina la farsa del “io insegno”, “tu impari”.
Allora, se le cose stanno così, a scuola tutto è teatro e niente è teatro. Sicuro! Si entra a scuola attori stupendi, pronti a imparare qualsiasi nuovo ruolo, disponibili a interpretare insieme il Grazioso e Pulcinella e si esce invecchiati nello spirito e costretti nell’unico ruolo che famiglia e società, attraverso la scuola, hanno voluto imporci.

0.2. La scuola, nel gioco del teatro della vita, non insegna a recitare una parte, ma “la parte”, quell’unico ruolo che, una volta sputati nel mondo civile, saremo obbligati a interpretare per sempre: l’architetto, il poliziotto, l’operaio, il disoccupato.

1. Ma questo, con il teatro da palcoscenico, che cosa a che fare? Niente, oppure moltissimo, è soltanto una questione di politica, sia in termini di politica scolastica, sia in termini di politica dei partiti.
Voglio dire che, in maniera (forse) inconsapevole, tutto, a scuola è teatrale, dai banchi ai bidelli. Ogni cosa. Un’immensa struttura in cui ci è stato plasmato (schiacciato, anche) lo spirito. Voglio anche dire, però, che il Teatro, con la T maiuscola, offerto agli alunni da insegnanti consapevoli diviene strumento liberatorio e libertario.
Ed è, ovviamente, di questo tipo di Teatro che sono stato chiamato a parlarvi: di quello che fa crescere gli alunni e li aiuta a scoprire la persona che si nasconde dietro ogni bambino; che li aiuta ad esplicitare e sperimentare la propria (presente e futura) personalità.

2. Non si tratta né della drammatizzazione in classe di poesie e letture in genere e nemmeno della recita scolastica per Natale, Carnevale o Pasqua, ma del vero gioco del teatro, con un testo, studio dei caratteri, allestimento e repliche.
Un’azione che la Scuola non è ancora in grado di offrire autonomamente. Voglio dire che nessun docente viene abilitato all’insegnamento del suo ambito disciplinare attraverso prove che implichino l’azione teatrale, e nemmeno le facoltà umanistiche delle Università italiane, nella stragrande maggioranza, prevedono seminari, corsi o esami in cui la pratica teatrale sia oggetto di studio.
Il teatro viene insegnato nelle scuole di teatro e, soprattutto, attraverso il teatro. Cioè vedere, ascoltare fare molto teatro prima di decidere di “insegnare” teatro.

2.1. Senza perderci in discussioni sul perché ciò avvenga, la normalità di ogni insegnante di scuola dell’obbligo è quella di non avere mai fatto teatro da palcoscenico, di averne poco ascoltato e di averne poco visto. È ovvio che, con queste premesse, l’insegnante che dicesse “io so fare teatro”, o è un bugiardo o è una mosca bianca.
Spesso, non è né una cosa né l’altra, ma semplicemente qualcuno che disconosce il senso della parola umiltà.
Non si può fare teatro senza la consapevolezza che ciò che sappiamo non è ancora abbastanza e che, soprattutto, da un giorno all’altro può essere buttato via. Le regole, in teatro, esistono soltanto per essere disattese. Ciò che conta è che da quel palco corra un buon filo con quel determinato pubblico. E se perché ciò avvenga l’attore deve distorcere dizione, respirazione e gestualità, l’attore lo farà. Così come cambierà il testo se, per farlo arrivare meglio a quel pubblico, capirà che dovrà aggiungere o togliere una parola, una frase, un sorriso.

3. Il teatro è, necessariamente, esperienza vissuta in un contesto teatrale non falsato. Voglio dire, con un pubblico pagante e cattivo in uno spazio scenico accettato. La recita nell’auditorium della scuola è, necessariamente, un falso. Il luogo non è uno spazio scenico “consacrato” e il pubblico non è pagante ma obbligato dalle dinamiche scolastiche e, sempre e comunque, sarà un successo: perché dirigenza scolastica, famiglie e alunni giocheranno a incensarsi, scatenando così un processo perverso che porta miseramente all’autocelebrazione e al disconoscimento e rifiuto del confronto con il reale.

3.1. Il teatro a scuola, sono convinto, non può essere fatto dagli insegnanti della classe, deve, comunque essere fatto da personale esterno realmente qualificato. Tutto il resto, ha altri nomi, forse può somigliare al teatro, ma non è teatro, sono recite, drammatizzazioni, animazioni, gioco. Tutte cose formidabili, ma non teatro.
Personalmente, per esempio, quando mi è capitato di far recitare gli alunni della mia classe davanti a un pubblico, ho sempre cercato di comunicare che si trattava di un gioco didattico, funzionale al rafforzamento o l’acquisizione di alcuni concetti legati a precise discipline, che ora potevano essere la lingua, ora la storia, ora l’antropologia. Non facevamo teatro, ma utilizzavamo alcune tecniche teatrali per fare scuola.

3.2. Il teatro e basta, ho sempre voluto farlo da esterno alle classi, ora come autore chiamato a seguire lo sviluppo di un testo, ora come autore chiamato a proporre un testo originale. Più spesso come coordinatore dell’intero progetto e, da un po’ di tempo, anche come produttore che offre alle classi le prove aperte dei propri spettacoli.

3.3. Insomma, a scuola “teatro” può significare tutto e il contrario di tutto. Si tratta sempre di precisare, di capirsi e, sicuramente senza arrivare a dire niente di realmente nuovo o un poco originale, vi invito a seguirmi nella descrizione di alcuni degli scenari teatral-scolastici possibili, che la mia esperienza di insegnante e drammaturgo sardo mi ha dato modo di vivere.

4.a. La scuola, o la classe, vuole presentare un testo teatrale a un pubblico indistinto, ciò che conta, è che nel cartellone risulti chiaro che la scuola è il produttore dello spettacolo e che gli attori sono ragazzi di quella scuola.
Si tratta del caso più frequente, soprattutto nelle scuole superiori ed è l’offerta scolastica che meno condivido e che spesso mi trova in aperto contrasto.
Perché comunque è un falso. Anche quando sono bravi, i ragazzi non sono attori e il pubblico non è quello che va normalmente in teatro; quando poi il regista, e magari anche l’autore del testo, coincidono con docenti della stessa scuola, il falso è doppio, perché fuori del contesto scolastico quello non è niente.
Non è nemmeno didatticamente utile, perché sono stati chiamati a recitare i ragazzi “più dotati”; quelli magari un po’ troppo problematici, e che avrebbero trovato giovamento dall’apprendere i rudimenti della dizione e la respirazione diaframmatica, sono stati tagliati fuori perché rallentano troppo la preparazione dello spettacolo.
Se proprio la scuola deve proporre un testo teatrale per fine anno, che sia uno spettacolo vero, con professionisti veri. Si chiami una compagnia e gli si produca uno spettacolo originale a patto che facciano le prove aperte ai ragazzi e agli insegnanti della scuola, e che, come maestranze generiche, comparse incluse, si impegnino ad utilizzare i ragazzi della scuola
Il resto, se non è dichiaratamente un gioco senza nessun’altra pretesa che la volontà di giocare e divertirsi, non può, comunque, essere teatro e il suo valore didattico è dubbio.
“Ma ho fatto recitare Molière ai miei alunni!”
“Davvero, e Molière che ha detto, era contento?”

4.b. La scuola vuole fare teatro, nel senso più ampio del termine. Ciò che conta è che alla fine i ragazzi siano cresciuti culturalmente e umanamente.
Si tratta anche questa volta di una situazione piuttosto frequente, con due possibili sviluppi, spesso alternativi:

La scuola affida il progetto a personale interno;
2. la scuola affida il progetto a personale esterno e qualificato.

Nel primo caso, cioè con personale interno (caso molto frequente e in alcune scuole obbligato dall’avere nei propri ruoli insegnanti con l’attestato di formatore teatrale rilasciato in “regolari” corsi ministeriali), il successo dell’intera operazione è determinato dal grado di sensibilità dell’insegnante. Può accadere, infatti, che l’intera attività venga finalizzata al “saggio” di chiusura d’anno; magari da presentare al concorso “Premio internazionale del teatro scolastico da qui a lì”, in cui, immancabilmente si vince qualcosa e si ricevono tanti complimenti. Oppure, e sono i casi più fortunati, l’insegnante offre ai ragazzi una situazione di laboratorio in cui, più che giocare ai piccoli attori si gioca alla scoperta di se stessi, del proprio corpo situato in contesto, e del proprio ruolo all’interno di dinamiche psicologiche e sociali in movimento.

Nel secondo caso, quando la scuola si rivolge a personale esterno di sicura professionalità, ciò che avviene è un laboratorio dell’anima. Un luogo in cui i ragazzi “si allenano” a vivere e imparano che non esiste nessuna possibilità di crescita personale se questa non è diretta verso la ricerca della collaborazione con l’altro.

4. C. La scuola vuole proporre teatro. Ciò che conta è che alla fine i ragazzi abbiano almeno contribuito all scrittura di un testo teatrale.
Esiste anche la possibilità che non si voglia arrivare né al “saggio”, né alla “recita scolastica”, né alla partecipazione a nessun concorso, ma si voglia giocare a scrivere un testo originale. Esiste anche questa possibilità, non del tutto infrequente e, comunque, quella a me più consona.
In questi casi, quando la scuola si rivolge a un autore davvero disponibile a rivelarsi alla classe, i ragazzi assistono al processo di scrittura e partecipano essi stessi alla costruzione/scoperta di un carattere, una psicologia, un plot che, almeno sulla carta, funziona e appassiona.
In questo caso, tutti i partecipanti all’esperimento sono autori/attori, perché ogni parte, ogni scena, viene descritta, scritta e (pre)rappresentata in un processo di crescita comune; testo e alunni crescono insieme: la scena pensata all’inizio del laboratorio, alla fine del percorso verrà sicuramente riscritta: “Che ingenui eravamo, due mesi fa”.

4.d. La scuola vuole entrare a teatro. Ciò che conta è che alla fine i ragazzi imparino a riconoscere diversi linguaggi teatrali.
È il caso più semplice da realizzare ma quello meno frequente, forse perché nessuna scuola ci ha ancora pensato, oppure perché le cose più semplici sono le ultime a essere capite. Voglio dire: va tutto bene, tutte le possibilità più sopra immaginate sono utili, ma i ragazzi, vanno a vedere teatro?
Ecco, questa cosa così semplice, viene troppo spesso trascurata; quando due o tre scuole consorziate, potrebbero organizzare una magnifica stagione teatrale di almeno uno spettacolo mensile. E riuscire a vedere una media di otto spettacoli di compagnie professioniste all’anno, sarebbe davvero una buona media.

5. Infine, si condividano o meno i miei giudizi, credo si possa concordare con me con la seguente considerazione: non c’è teatro senza repliche.
Qualsiasi forma di teatro si faccia a, con o per la scuola, se non ha la possibilità di essere replicato un adeguato numero di volta e, possibilmente, in luoghi diversi, non può, a ragione, essere chiamato teatro. Il “recitato una volta sola”, per sua stessa definizione, non ha continuità, non ha seguito, non ha dinamica, non ha possibilità di sviluppo e quindi miglioramento. In altre parole, la scuola che punta a un suo teatro fatto di occasioni uniche, non sta sicuramente facendo teatro, ma altro, e si preoccupino loro di trovargli un nome e una definizione.

Antoni Arca
insegnante e drammaturgo
è responsabile del settore Lingua e Didattica del
Centro di Servizi Culturali Società Umanitaria - Alghero

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