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Talianu

MORES: MORESCCA

SCENA PRIMA

Musica a basso volume (Peter Gabriel) in sottofondo. Luce bianca, quasi lunare. Un uomo di colore al centro di un parallelepipedo di tulle, una sorta di scatola, vestito della sola “zona”, la striscia di tela tipica dell’abbigliamento dei paesi caldi. E’ di spalle, con le braccia e le gambe larghe, come appoggiato alla parete di fondo della “scatola”, nell’atteggiamento attuale di chi stia subendo una perquisizione.
Per un po’ il nero parla a bassa voce dicendo parole incomprensibili. Sembra quasi stia pregando. Poi, lentamente, insieme con la musica di sottofondo, anche il volume della sua voce aumenta, finché, alla fine della requisitoria, le sue parole si trasformano in urlo. Per qualche secondo musica e parole arabe riempiono l’aria. Poi luce, voce e musica staccano d’improvviso.

Voce fuori campo.
Oggi, A.D. 10 gennaio 1621, sua Eccellenza il Governatore di Livorno Signor Alessandro Risaliti ed in sua vece l’eccellentissimo Signor Aldo Tommasi in qualità di giudice e per conto di Sua Altezza Reale il Granduca Cosimo II, condanna al lavoro di remi a bordo di galere del Granducato o, secondo necessità, a quello forzato di manovale, ed alla reclusione quotidiana coatta di presso al Bagno sito in questa città, il barbaresco nomato Morgiano; e ciò a seguito di colpa gravissima occorsa per guerra di corsa portata, in modo premeditato ed empio, contro navi ed abitanti di villaggi e paesi costieri.
Si stabilisce inoltre che l’equipaggio della galera Santa Maria Assunta, per aver intercettato e fatta prigioniera la ciurma della nave infedele capitanata dal detto barbaresco, abbi ricompensa di fiorini dece da spartirsi in modo equo e secondo il grado.
Essendo hodie in tal modo deciso e stabilito, che ciò abbi immediata esecuzione. Con ciò sia cosa che il moro Morgiano sia tradotto all’interno del Bagno in attesa di essere assegnato alla prima galera ancora sprovvista in parte o in toto di rematori od impiegato per i lavori pubblici di costruzione della città.

SCENA SECONDA

La scatola di tulle si apre centralmente e con la risalita dei lembi inferiori forma una specie di baldacchino con apertura anteriore a sipario francese. Lenta assolvenza di luci. Sotto il baldacchino uno scranno e un uomo in piedi, di spalle, intento a leggere una pergamena, all’esterno un altro uomo di tre quarti rivolto verso di lui.

Tacca: (inchinandosi) Vostra Altezza…
Granduca Cosimo II: (voltandosi e ripiegando la pergamena) Ah, messer Tacca…Fatevi innanzi. (sedendosi) Avete chiesto di conferire. Avanti: vi ascoltiamo.
Tacca: Vostra altezza, l’incarico che da quasi dodici anni ricopro, con umile dedizione e riconoscenza, quale statuario di corte, mi impone di portare all’attenzione vostra la situazione in cui tutt’ora versa in Livorno l’effige marmorea del vostro illustre padre, il Granduca Ferdinando I, il cui progetto di completamento in faccia alla Darsena mi venne da lui stesso affidato nel lontano 1607.
Granduca: Si Messer Tacca, siamo già stati sollecitati dal governatore di quella città… Ma avanti, continuate: la nostra nomina granducale, sebbene di lunga data, ci impone di ascoltare e valutare tutte le questioni in sospeso, dalle più grandi alle più piccole, con dovizia di particolari che, in questo caso, sol voi potete assicurarci.
Tacca: Ebbene, vostra altezza, la statua realizzata dal fu Messer Bandini, venne spedita da Carrara a Livorno via mare già nel 1601 e, per volontà vostra, posta sul piedistallo di mio disegno sol nel ’17. Ad oggi, però, essa resta ancora mutilata rispetto al progetto già approvato da vostro padre e da voi condiviso.
Granduca: Si, ricordiamo… vi riferite alle quattro statue bronzee da porre alla base dell’effige del nostro genitore, quelle che dovranno rappresentare altrettanti mori incatenati ad imperituro ammonimento circa la vittoria granducale sulla corsa dei pirati barbareschi …
Tacca: Giustappunto, vostra altezza; ed è per questo ch’io son qui a chieder licenza di poter riprincipiare le visite presso il Bagno di Livorno. Quivi già venni due volte, a distanza di sette anni l’una dall’altra, e quivi ho necessità di recarmi ancora per vedere e considerare da vicino e ad uno ad uno tutti gli schiavi presenti al suo interno.
Granduca: Messer Tacca, per tal richiesta l’approvazione granducale vi viene concessa nell’immediato. Ma gradiremmo anche avere esemplificazione di maggior dettaglio su come intendiate procedere alla realizzazione di questa opera, ovvero qual sia l’aspetto dei vostri quattro schiavi.
Tacca: Ebbene, mio signore, servendomi della parola, nel cui uso difetto in abilità rispetto a quanto son capace come scultore, posso dire comunque che il progetto a cui lavoro si regge sul contrasto e la differenza: la stessa che esiste tra lo nostro mondo e quello cui appartengono gl’infedeli che vò a ritrarre. Per questo, di contro al bianco del marmo di cui s’informa la statua del Granduca Ferdinando nella sua uniforme di Santo Stefano, voglio che si stagli il bruno color del bronzo di cui saranno forgiati i quattro mori; ciò che comporterà un conflitto cromatico ed al tempo stesso materico tra i soggetti ritratti. E mentre il Granduca starà lassù in atteggiamento fiero e maestoso, i barbareschi saranno quaggiù, avvinti e prostrati, non sol per la sconfitta subita, ma anche per la mancanza di quella fede che ci rende… cristiani. Quindi la verticale staticità dell’effige marmorea contrasterà anche con il movimento dei corpi anelanti alla libertà degli schiavi, che immagino avvinti con catene ai quattro spigoli del piedistallo. E tutto questo sarà al servizio di un sol proposito: render palese la metafora della vittoria della cristianità e tangibile la forza del potere granducale.
Granduca: Le vostre parole ci hanno compiaciuto e d’altronde il valore della vostra arte non è messo in dubbio, dato che non sarà stato per caso che il Giambologna vi considerasse qual suo discepolo prediletto. Per questo siamo certi che lo vostro impegno assicurerà imperituro riconoscimento alle vittorie ottenute sui pirati barbareschi dalla marina militare granducale grazie ai cavalieri di Santo Stefano.
Tacca: Ad ogni buon conto meglio di me, sire, parleranno i bozzetti cui sto lavorando e per perfezionare i quali necessito di recarmi ancora presso il Bagno di Livorno, città ove ho anche intenzione di soggiornare con la mia consorte per qualche tempo, al fine di aver più agio di dedicarmi alla cosa.
Granduca: Molto bene Messer Tacca. Procedete con il vostro lavoro il più speditamente possibile. La statua di nostro padre ha fin troppo atteso di ergersi sopra l’infedele!
Tacca: Al vostro servizio. (Inchinandosi ed accomiatandosi) Vostra Altezza… (esce)

La faccia anteriore della scatola di tulle si richiude riprendendo l’aspetto originario.

Cartello (proiezione a scorrere)
Il Bagno

In terra cristiana il Bagno per gli schiavi esisteva solo a Livorno. Il suo nome derivava proprio da quello presente in questa città, cosiddetto perché in parte situato sotto il livello del mare. Fu edificato tra il 1598 e il 1605 in un area compresa tra le due fortezze vecchia e nuova. Era una struttura massiccia formata da quattro grandi locali disposti intorno ad un cortile. Tra gli schiavi si segnalava spesso la presenza di personaggi di rango che per ottenere riscatto fornivano notizie quanto a fortificazioni e forze navali del mondo islamico. Con il passare del tempo prigionieri furono utilizzati sempre di più come manodopera per i lavori di ampliamento della città.

SCENA TERZA

Semioscurità. Rumore di pesante porta che sbatte. Voce fuori campo:
Voce: (con enfasi, come per far udire ad altri della guarnigione) Accesso al Bagno in Livorno consentito a Messere Tacca per esplicito ordine scritto di Sua Altezza Reale il Granduca Cosimo II!

Di nuovo rumore di pesante porta che sbatte. Nel mentre, il lato sinistro della scatola di tulle si alza. Tacca entra al suo interno e si pone faccia al pubblico; tiene sotto braccio un grande quaderno da disegno. Tenue luce a pioggia sull’uomo. La “parete” si richiude. Musica rarefatta in sottofondo.

Tacca: (voce fuori campo) Anche a distanza di anni l’effetto non muta: freddo, un freddo dell’anima che mi piglia e mi imprigiona più di queste mura. E’ stato così la prima volta, così la successiva e così è adesso… Cos’è questa mestizia che m’invade al cospetto di tal sorta di malfattori? Che forse non son conscio della spietata ferocia con la quale hanno squartato, trafitto, stuprato in nome di quella religione che per tali crimini assicura loro il miglior posto in paradiso? (pausa) Eppure… non posso non vedere, io che modello corpi di metallo, che quelli che ho di fronte a me son corpi d’uomini nient’affatto differenti da quelli d’un cristiano e che al par di quelli soffrono la cattività e le ingiurie degli aguzzini… Che forse un corpo cristiano prova dolore in maniera diversa da quello di un musulmano? Le loro grida ed i loro lamenti straziano parimenti il cuore … Ciò nondimeno è necessario che la loro sconfitta venga affermata in modo inconfutabile!…
La luce cala rapidamente

SCENA QUARTA

Al riaccendersi delle luci, che restano tenuti, Tacca è fuori della scatola di tulle, in situazione diametralmente opposta rispetto alla scena precedente: spalle al pubblico ed insieme ad esso rivolto verso la scena. Da una parte uno sgabello. All’interno della scatola una panca su cui è sdraiato un moro con lacere vesti. Su un’altra è seduto un bianco. Entrambi sono immersi nella semioscurità.

Tacca: Ehi, tu! Mostrati! (pausa) Che c’è, non odi la mia voce?… Vediamo se rispondi almeno al tuo nome. E’ a te che parlo: Morgiano!… (pausa) Bene, neanche questo ti scuote. (Si sposta verso lo sgabello per deporvi il quaderno). Sai, una volta, molti anni fa, sono già stato qui. Parlai con un vecchio turco nomato Alì, Alì Salentino. Strano tipo… Era qua dentro da oltre undici anni con l’accusa di essere un predone. Ma in realtà nessuno avrebbe scommesso un fiorino su questo. Tutto pareva essere tranne che un feroce pirata! Aveva imparato a parlare la nostra lingua e mi insegnò anche alcune espressioni della vostra… Vediamo se ricordo… ah, si: Allah mhake…
Il prigioniero, fino ad ora sdraiato su un fianco, di spalle allo scultore, ruota leggermente la testa verso Tacca senza guardarlo per poi riportare lo sguardo verso la parete di fondo.
(ironico) Ah, allora è vero che non sei sordo… Ma certo non posso pretendere che tu capisca quello che dico. D’altronde, da quel che mi hanno raccontato i tuoi aguzzini, sono solo tre mesi che soggiorni qua dentro… (pausa) Sai, mi piacerebbe che tu mi capissi, mi piacerebbe dirti perché ho bisogno di osservarti e ritrarti. Certo, è anche vero che non credo che ti farebbe piacere sapere come userò il tuo sembiante…
Prigioniero bianco: (sempre da sdraiato) Se quel figlio di una cagna parlasse la nostra lingua lo saprebbe gia!…
Tacca: (rivolto al p.b.) Ah si, e perché?
P.b.: Beh, ormai siete una sorta di leggenda… Qua dentro vi chiamano “lo scultore dei mori”
Tacca: (stupito) Ah!… E con chi ho l’onore?…
P.b.: (alzandosi ed uscendo dall’oscurità) Il mio nome è Cristoforo, Cristoforo Gagliardi, da cinque anni buonavoglia al servizio di Sua Altezza il Granduca, per servirvi…
Tacca: (divertito dal contrappunto tra le parole pompose e l’aspetto cencioso dell’uomo) Onorato… Che sapete dirmi del moro?
Gagliardi: Niente di più di quello che vi ho detto. So solo che da quando me lo hanno messo accanto, ogni sera si inginocchia rivolto verso quella parete e comincia a farfugliare qualcosa nella sua lingua, il cane! Credo che preghi! (rivolto al moro) Fai bene a pregare, pendaglio da forca! Avresti già dovuto pagare con la vita per i tuoi infami peccati! (avvicinandosi) La tua sola fortuna è di essere stato catturato da una delle nostre galere, altrimenti adesso saresti già in fondo al mare!
Tacca: Calmatevi, non può capirvi: lo avete detto voi stesso!
Gagliardi: (con rancore represso) Perdonatemi ma, il sangue mi ribolle ancora… ero armigero su una delle navi di Bona.
Tacca: Una di quelle della carneficina?
Gagliardi: Ricordate bene. Son passati degli anni ma ho ancora tutto qui, davanti ai miei occhi e nelle mie orecchie!
Tacca: Ma che accadde di preciso?…
Gagliardi: Accadde che stavamo costeggiando, quando d’improvviso fummo spinti sulle rive d’Africa da una tempesta. Era notte e questo per un po’ ci tenne al sicuro. Ma non appena cominciò ad albeggiare comparvero in lontananza le mura della città e di lassù, subito dopo, vedemmo calare un’orda nera d’inchiostro e udimmo diffondersi un frastuono, un turbine ululante. Ci furono addosso in men che non si dica. Diavoli, parevano, assetati di sangue! Con asce, scimitarre e archibugi ci costrinsero sulle navi in secca, finché non appiccarono il fuoco. Ci siamo rivolti a tutti i santi del paradiso e alla nostra Madonna di Montenero, ma è stato inutile: neanche loro sono riusciti a fermarli… In molti si son gettati in acqua. Almeno venti dei nostri soldati, appesantiti dalle armature e dalle vesti, sono annegati immantinente; ed è stata la miglior cosa che potesse capitare loro!
Tacca: E voi?
Gagliardi: Un colpo di bombarda mi aveva sbalzato fuoribordo. Rimanetti sott’acqua per non so quanto tempo. Sentivo tutto, ma tutto era lontano, smorzato e addolcito dalle acque in cui ero caduto… Poi riemersi ed udii le urla strazianti e vidi: vidi l’inferno! Tutto era dato alle fiamme perché tutto era ormai perduto. I già molti prigioni cristiani, con le mani legate dietro la schiena da lunghe catene, giacevano chi in ginocchio, chi seduto, in attesa. Mi nascosi dietro uno scoglio e continuai a guardare. Ne fecero delle lunghe file e li spinsero verso la città. Qualcuno non vi arrivò mai: lungo il cammino, a caso, ne traevano fuor delle fila e lì, senza il minimo trasalimento di pietà sul volto, mozzavano loro il capo. Gli altri scomparvero dietro le mura. Ricomparvero solo le loro teste: impalate in cima alle torri di contro al rosso infuocato del tramonto. I corpi, seppi più, fatti a pezzi. Quanto a me, una galea genovese, accorsa in aiuto dal largo, mi prese a bordo.
Tacca: Tutto questo ha avuto sua vendetta…
Gagliardi: Vi riferite alla presa di Bona di qualche anno dopo… lo so. Ma per me non ci sarà mai pace!… Un di quelli cui vidi mozzare la testa era mio fratello!…
Tacca: Tristo destino, il vostro, messer Gagliardi: preda di un contrappasso che vi obbliga ad esser famiglio di questo infedele… Io non posso che compatirvi e pregare per voi… (fa per andarsene, poi si volta verso l’uomo) Anzi no: una rivalsa ve la posso offerire: se vorrete, potrete aiutarmi a ritrarre quel moro fissando per sempre la sua sconfitta. In cambio del vostro servizio vi darò qualche soldo. Vi aggrada la proposta?
Gagliardi: Certo che mi aggrada e ve ne ringrazio. Lo costringerò a forza di colpi!
Tacca: No messer Gagliardi!… La mia offerta non prevede coercizione: il moro dovrà tenere spontaneamente l’atteggiamento che ho in mente per il ritratto: esattamente quello che vedete in questo schizzo (glielo mostra)
Gagliardi: E come farò allora, visto ch’egli non intende altra favella che quella di barberia?
Tacca: (con malcelata ironia) A voi di scoprirlo… provate coi gesti… o provate a pregarlo: chissà che non intenda… (esce lasciando lo schizzo sullo sgabello) Ci vediamo tra una settimana, ho ancora molte cose da sbrigare prima…
Gagliardi: (grattandosi la testa, senza rendersi conto di esser preso in giro) Pregarlo?! Ma che idea è codesta!… (urlandogli dietro) Messer Tacca, messer Tacca!…
Buio.

Cartello (proiezione a scorrere)
Rematori
Sistemati nelle galere o, se più fortunati, alloggiati nel bagno di Livorno, erano divisi in tre classi. La più numerosa era quella degli schiavi, prigionieri musulmani catturati durante le scorrerie sui litorali anatolici, balcanici, nordafricani e dell’Egeo od a seguito di scontri in mare. I turchi erano considerati i più docili e, per questo, spesso inviati a lavorare a servizio ed a gestire piccole attività nel porto. Meno affidabili erano considerati gli schiavi arabi e barbareschi. A sera tutti dovevano far rientro al Bagno o sulla galera. La seconda classe di rematori era quella dei forzati: cristiani che dovevano espiare la loro condanna vogando. L’ultima era chiamata dei buonevoglie, uomini che si arruolavano volontariamente per avere di che vivere.

SCENA QUINTA

Assolvenza. Fascio di luce diurna dal lato sinistro della scatola di tulle la cui faccia anteriore è ora aperta per la sola metà destra. Su questo lato, all’interno, le due panche si sono unite a creare un letto matrimoniale: è quello della camera di Tacca e di sua moglie. L’uomo entra in scena.

Tacca: Caterina, dove siete?
Caterina: (entra in scena, gli va incontro e lo abbraccia) Pietro, siete tornato!
Tacca: Si moglie mia!… Allora, come vi siete sistemata? (guardandosi intorno) La casa è di vostro gradimento? Purtroppo quello di statuario di corte è un impiego che arricchisce in dignità ma non certo in danari!
Caterina: Lo so, ma la casa è perfetta e poi il mare e quest’aria profumata di salsedine ripagano di tutto… (andando verso il lato da cui proviene il fascio di luce diurna) Guardate che vista! Dopo il triste inverno che abbiamo passato a Firenze questo sole primaverile e questo clima ci ritempreranno lo spirito. (divertita) E poi Livorno è una città gradevole e… sui generis!…
Tacca: Che volete dire?
Caterina: Mentre vi aspettavo mi sono presa la libertà di farmi accompagnare da una serva di camera sulla via Ferdinanda ed ho traversato tutta la città, dal mare fino alla piazza che chiamano del Picchetto. Ho le gambe che mi dolgono… Ma ne è valsa la pena. Mi sono divertita come una bambina!
Tacca: (si siede sul letto, prende le mani della donna e la porta a sedersi accanto a sé) E cosa avete visto di così piacevole?
Caterina: (rapita e concitata nella descrizione) E’ come se tutto il mondo si fosse dato convegno qui! Ho visto le bandiere di tante nazioni occidentali sventolare in cima alle antenne delle navi in darsena e da quelle discendere e salire ogni sorta di mercanzia e di genti abbigliate nelle più diverse fogge. Colori sgargianti come uno spagnolo o cupi come un inglese, sfumati come un norvegese o profondi come un francese…
Tacca: (divertito) Ah, è così che inquadrate le genti: col colore del loro abbigliamento! Interessante modo di classificare un uomo!
Caterina: Aspettate, non c’erano solo i colori. Sapeste gli odori! Nauseabondi alcuni, celestiali altri, di spezie, balsami, essenze... Ho cominciato a fare a gara con la serva di camera a chi ne riconosceva di più. Finché siamo restate vicine alle navi che provenivano da qualche porto del Mediterraneo ci siamo quasi riuscite… ma poi: impossibile capire di cosa si trattasse!
Tacca: Ma non avete detto che vi siete spostata anche verso terra?
Caterina: Certo! Vi ho detto che ho percorso per intera la via Ferdinanda, o come l’ha già ribattezzata il popolo di qui, la via Grande. Vedeste che fervore di vendite e trattative. Ci sono greci, spagnoli, inglesi, corsi, olandesi e poi nelle bottegucce che si aprono sulla via si vende di tutto. Chi decanta di qua, chi invoglia di là, chi cerca di abbindolarti e chi di rifilarti qualche preteso filtro d’amore. E poi ci sono ebrei levantini, persino arabi con il loro buffo turbante che vi mostrano i loro splendidi tappeti e schiavi mori tutti presi dalle loro umili occupazioni, intenti a tagliare capelli o risuolare scarpe… (pausa) A proposito, come è andato il vostro incontro al bagno dei forzati?
Tacca: (alzandosi dal letto improvvisamente intristito) Entrare in quel luogo mi mette sempre a disagio, lo sapete bene… Non so, non riesco ad abituarmi alla sofferenza, quantunque conseguente a giusta condanna. Non riesco a non pensare che anche quei poveracci rinchiusi là dentro hanno magari una moglie e dei figli che li aspettano.
Caterina: Ciò è dovuto alla vostra nobiltà d’animo e alla vostra sensibilità…
Tacca: Voi dite? In realtà, un attimo dopo non posso non pensare alle nefandezze che hanno perpetrato contro uomini come loro. E allora mi domando perché io debba provare questo senso di pietà… Lo chiedo anche a voi: è giusto?
Caterina: La nostra religione è tutta fondata su tale sentimento e la profondità della vostra fede non può portarvi che a questo
Tacca: (con tono accalorato) La nostra religione… La nostra religione è la stessa in nome della quale ci arroghiamo il diritto di lavare col sangue il sangue versato dall’infedele! E’ giusto questo? La nostra fede è quella in nome della quale conduciamo in schiavitù altri uomini! E’ giusto questo? E’ per questo che Cristo è sceso in terra?…
Caterina: Nella Genesi sta scritto: Ad imaginem Dei factus est homo. In ognuno di noi c’è una scintilla del suo amore; e Cristo ha dato a noi come a tutti gli uomini, siano essi seguaci della vera o della falsa fede, la libertà di scegliere tra bene e male. Questa è la risposta alla vostra domanda.
Tacca: (abbracciandola) Mia diletta, voi avete il dono di restituirmi il sorriso con la vostra dolce capacità esplicativa e le vostre salde argomentazioni religiose… Vedete, io credo di essere un buon cristiano e proprio per questo non so se riuscirò ad essere sempre un buon artista di corte…
Caterina: Che volete dire?
Tacca: Niente mia cara, niente… (cambiando improvvisamente discorso) Ho voglia di uscire! Avete ragione voi: è proprio una bella giornata. Andiamo a passeggio, in fondo neanche io conosco così bene Livorno e mi avete messo curiosità. Faremo un bel giro in carrozza, così i vostri piedini si riposeranno!… D’accordo?
Caterina: Va bene. Vi farò da Cicerone!
Tacca: (ridendo) Addirittura!
Caterina: Ah, vedrete quante cose ho già imparato…
Escono ridendo. Il lato destro della parete frontale della gabbia torna a chiudersi.
Buio

Cartello (proiezione a scorrere)
Manierismo
Viene così detto l’insieme di manifestazioni figurative che, entro le singole correnti artistiche del XVI secolo, in Italia e in Europa, presenta aspetti variamente anticlassici e antirinascimentali. Create nell'ambiente delle corti, per un pubblico di colti e raffinati aristocratici, le opere dei cosiddetti manieristi sono caratterizzate dal culto dello stile e dell'eleganza formale, dalla ricerca della varietà e della complessità e dall'estremo virtuosismo esecutivo. Principali rappresentanti del manierismo furono Rosso di San Secondo, Pontormo, il Bronzino, il Gianbologna, Benvenuto Cellini e Giulio Romano.

SCENA SESTA

Il Bagno. La scatola di tulle è completamente chiusa. Luce soffusa. Gagliardi è in piedi. Tiene in mano un foglio. Morgiano è inginocchiato a terra rivolto verso la sinistra della scatola di tulle. Prega.

Gagliardi: Ecco! Di nuovo! Come tutti i giorni e tutte le sere! Prega bastardo, prega… Ma per cosa preghi eh?! Per cosa?… (andandogli vicino, con scherno) Perché non chiedi al tuo Dio di venirti a liberare? Diglielo dai! In quella tua lingua schifosa che sembra partorita da Satana in persona!

Pausa, per un attimo si sente solo il ripetitivo ritmo della preghiera. Poi, improvviso, l’uomo sferra un calcio nella pancia al moro che si accascia su un fianco emettendo un urlo soffocato.

Gagliardi: (girandogli intorno, con crudele sarcasmo) Che c’è, ti fa male?! Bene, è quello che voglio… Il destino non può prendersi gioco di me impunemente e Dio neanche: che sia il tuo o il mio! Avanti, alzati schifoso. Attaccami, vediamo che sai fare. Credevo che almeno in combattimento valessi qualcosa. D’altronde sei solo una bestia, come tutti i tuoi compari; e non hai neanche il coraggio di reagire… Sono otto giorni, otto giorni che mi spacco la testa per farti capire quello che voglio! Quando Tacca tornerà, dovrai essere docile come un agnellino e stare immobile esattamente come lui ti vuole in questo schizzo … (prendendolo per il collo per tirarlo su e mettendogli davanti agli occhi il foglio) Vedi?!

SCENA SETTIMA

Entra improvvisamente in scena Tacca urlando. E’ fuori della scatola di tulle
Tacca: Gagliardi, che state facendo!
Gagliardi: (evidentemente sorpreso) Mastro Tacca…
Morgiano resta in ginocchio, faccia a terra, piegato sulla pancia per il colpo subito.

Tacca: Vi avevo chiesto espressamente di non usargli violenza!… Guardie!
Gagliardi: No, vi prego, mi metteranno alla gogna…
Tacca: E’ quello che meritate!
Gagliardi: Ho cercato in tutti i modi di fargli fare quello che avete chiesto, ma non c’è stato verso. Sembra insensibile a tutto. Si trascina dalla panca a quel muro là tre volte al giorno per pregare ed è tutto! Ha anche smesso di mangiare. Gli aguzzini portano il pasto e lui neanche lo guarda. Fa così da quando siete venuto. Ho l’impressione che voglia lasciarsi morire… (in evidente imbarazzo, con un falso slancio di umanità) E’.. è per questo che l’ho colpito: per farlo reagire!
Tacca: (con rabbia) Un’altra parola e giuro che vi faccio imbarcare sulla prima galera in rada e questa volta sarà per non riveder mai più terra da vivo!… (pausa) Quest’uomo non mangia perché la sua religione gli vieta di farlo. E’ il ramadan: non può toccare cibo dall’alba al tramonto… (rivolto a Gagliardi) ma a quel punto qualcuno avrà già provveduto a ripulire la scodella, vero?
Gagliardi: Ma che dovevo fare? Lasciare che se lo mangiassero i topi?
Tacca fa come per colpirlo pur essendo fuori dalla cella. Gagliardi istintivamente arretra. In quel momento:
Morgiano: (sempre con la faccia rivolta a terra) Ha ragione: Allah non vuole che il cibo vada sprecato…
Sia Tacca che Gagliardi rimangono impietriti voltandosi verso Morgiano.

Tacca: (esterrefatto) Tu… tu parli la nostra lingua!…
Gagliardi: (facendo l’atto di scagliarsi verso di lui) Ah, cane!…
Tacca: Fermatevi! Non una mossa! Arretrate e sedetevi sulla vostra branda.
Gagliardi fa quello che gli è stato ordinato.

Tacca: (rivolto a Morgiano, con voce ferma ma pacata) Vieni avanti, mostrati…
Morgiano si alza lentamente sulle ginocchia mostrando il volto.

Tacca: Perché non hai mai parlato prima?
Morgiano: (alzandosi ancora dolorante ma tenendo ancora gli occhi bassi) Io parlo solo quando ho di fronte un uomo
Tacca: Tu dunque ne vedi uno di fronte a te?
Morgiano: Vedo un uomo, si…
Tacca: Perché mi giudichi tale?
Morgiano: Perché chiami un altro uomo dandogli un nome, il suo nome… e perché hai dimostrato di conoscere qualcosa di me…
Tacca: Ma io non conosco niente di te
Morgiano: Tu mi hai salutato nella mia lingua e conosci l’obbligo del ramadan
Tacca: Ma non so altro…
Morgiano: Eppure è moltissimo
Tacca: Tu sai chi sono io?
Morgiano: Certo, tutti qui sanno chi sei e io con loro
Tacca: Quello che non sai, però, è perché voglio ritrarti
Morgiano: No, questo no
Tacca: Te lo dirò… In qualità di statuario di corte mi è stato chiesto di realizzare quattro statue in bronzo di altrettanti schiavi mori da porre ai piedi dell’effige in marmo del Granduca Ferdinando. Io ho scelto te per essere uno di questi (pausa)
Morgiano: Qua dentro sei tu che hai il potere
Tacca: Giusta osservazione. Potrei obbligarti a fare da modello: ma questo non gioverebbe ne al mio lavoro, ne… alla mia coscienza
Morgiano: (piantandogli gli occhi negli occhi) Allora convincimi…
Gagliardi: (uscendo improvvisamente dalla penombra, urlando) Che scemenze sono codeste! Convincerlo?! Gli animali non si convincono, si costringono! Mastro Tacca, non vorrete mettervi al pari suo. Quello è un infedele, un figlio del demonio! Come potete accettare delle condizioni?!
Tacca: Questo non è affar vostro Gagliardi. Pensate alla vostra anima e pregate Dio che la salvi! (rivolto a Morgiano) Quanto a te, non osare troppo. Queste sono le mie condizioni: io tornerò qui per tutto il tempo necessario a ritrarti ed eventualmente ottenere un modello a calco in cera dalla tua figura. Chiederò ai soldati che il tuo pasto ti venga ricondotto stasera e che sia così fino alla luna nuova: è allora che avrà termine il ramadan, non è vero?
Morgiano: Si, è così…
Tacca: Bene… Dunque? Accetti di posare per me?
Morgiano: D’accordo, ma mi permetterai di pregare e… mi permetterai di parlarti…
Tacca: Va bene… le parole non mi hanno mai fatto paura e poi, mi stai incuriosendo Morgiano… A domani!
Morgiano piega la testa in segno di assenso e saluto. Tacca esce.

SCENA OTTAVA

Gagliardi: (minaccioso) Ti sei preso gioco di me eh?! Ma saprò ricompensarti a dovere… a tempo debito…
Morgiano: (pacato, come seguendo il filo dei suoi pensieri) Mi dispiace per tuo fratello.
Gagliardi: (spiazzato, urlando) Dispiacerti?! E perché dovrebbe dispiacerti! Sono i tuoi fratelli che lo hanno ucciso!
Morgiano: Quelli non sono miei fratelli. Ho sempre considerato l’omicidio senza motivo un peccato agli occhi di Dio.
Gagliardi: E pensi che questo possa consolarmi?
Morgiano: No. Ma gli uomini non sono giusti o ingiusti a seconda di quello in cui credono.
Gagliardi: Ah no? E allora non c’è nessuna differenza tra te e me?!
Morgiano: E’ così
Gagliardi: (scoppiando a ridere) Ma da dove vieni? Dalla luna forse?! Guarda che questa è la terra e qui funziona diversamente!
Morgiano: No, non vengo dalla luna. Ma hai ragione: qui funziona diversamente…

Come avendo esaurito le energie per parlare oltre, Morgiano tace e si stende sulla propria panca. Gagliardi lo guarda per un momento, pensoso, poi cala il buio.

Cartello (proiezione a scorrere)
Barbareschi

Erano detti Barbareschi gli abitanti degli stati musulmani costituitisi nella cosiddetta “Barberia” (Tripolitania, Tunisia, Algeria e Marocco) dopo il fallimento dei tentativi ispanico-portoghesi del XVI secolo di prendere piede in Africa settentrionale. Si trattava di “reggenze” nominalmente dipendenti da Costantinopoli. La guerra di corsa da essi condotta, benché agli stati occidentali apparisse un fenomeno di pura pirateria, si spiega con la concezione giuridico-religiosa della gihad o “guerra santa”, teoricamente sempre giustificata contro gli infedeli. Sui suoi frutti lo stato riscuoteva il quinto canonico del bottino.

SCENA NONA

Luce fioca. Dentro la scatola, nell’ombra, Gagliardi. Fuori due sgabelli. A fianco di uno sta in piedi Morgiano con le mani legate davanti. Entra Tacca. Tiene sotto braccio un certo numero di fogli da disegno. I due si guardano in silenzio. Tacca fa un cenno di saluto con la testa. Morgiano porta le mani alla fronte e poi alla bocca nel tipico saluto arabo.
Tacca: (poggiando il foglio sul secondo sgabello) Sei pronto vedo… Le guardie hanno fatto quello che avevo ordinato loro. E il cibo?
Morgiano: Ieri sera mi è stato ricondotto.
Tacca: Bene… (cerca tra i fogli che ha con se) Questo è uno schizzo più dettagliato del precedente di come vorrei ritrarti insieme con gli altri mori che ho già veduto qua dentro in passato.
Morgiano prende il foglio e lo guarda con attenzione.
Morgiano: Un uomo che sottomette altri uomini: è di questo che parlerà la tua scultura
Tacca: Si, questo è ciò che mi è stato commissionato dal Granduca.
Morgiano: E tu?
Tacca: Io che cosa?
Morgiano: Tu approvi…
Tacca: Io sono statuario di corte. Il mio lavoro è quello di eseguire opere d’arte affidatemi da sua altezza il Granduca, non quello di discuterle.
Morgiano: E se potessi discuterne?
Tacca: (con un certo imbarazzo) Non posso. E non voglio… Siediti sullo sgabello…
Morgiano restituisce il foglio a Tacca. Poi indietreggia con ancora il foglio in mano e si mette a sedere.
Tacca: (come facendo affiorare alle labbra i pensieri) Fai troppe domande, tu. Ma chi sei?
Morgiano: Il mio nome lo conosci
Tacca: Ecco, appunto, conosco solo quello di te; mentre tu conosci molte più cose di me… Morgiano: Sei curioso?
Tacca: Si, lo sono. Per esempio: dove hai imparato a parlare la nostra lingua?
Morgiano: E’ una lunga storia.
Tacca: Comincia a raccontarla allora.
Morgiano: E la tua scultura?
Tacca: Sono quindici anni che aspetta, potrà attendere ancora il tempo del tuo racconto.
Inizia una lontana musica in sottofondo.
Morgiano: Se questo è ciò che vuoi… Devi sapere che in quella terra che tu chiami Africa, nei pressi del grande lago Ciad, esiste il regno della città di Uadai. E’ da lì che io provengo ed è lì che ho imparato a parlare la tua lingua.
Tacca: E come?
Morgiano: Proprio come hai cominciato a fare tu qua dentro: l’ho imparata da uno schiavo
Tacca: (sorpreso) Da uno schiavo?... Doveva essere un uomo di cultura…
Morgiano: Si, lo era. Era uno scrittore o forse, a suo modo, un filosofo e per questo considerato un alienato. Si chiamava Serafino Risaliti. Veniva dall’isola che voi chiamate Trinacria. Lo crederesti mai? aveva abbandonato la sua casa per sete di conoscenza. Ma diceva che non si doveva mai dimenticare quanto si era già appreso. Per questo quando i nostri soldati lo catturarono ai bordi del deserto, aveva con se molti libri. Mi incuriosirono subito le lettere del vostro alfabeto e lo strano modo che avete di leggerle: da sinistra verso destra. In cambio della vita gli feci capire che volevo che mi insegnasse. E così fece. Imparai leggendo quello che aveva con se. (con una certa ironia) Il primo libro su cui mi esercitai credo che tu lo conosca. Iniziava così: “Nel mezzo del cammin di nostra vita”…
Tacca: (basito) Tu conosci la Divina Commedia?!
Morgiano: Si. Leggerla mi ha aiutato a imparare molto di voi, della vostra fede e del vostro mondo
Tacca: (ancora incredulo) Ma chi eri tu per poterti permettere tutto questo?
Morgiano: Che importanza ha qua dentro ricordare chi io ero
Tacca: Ne ha: per me…
Morgiano: Ebbene, prima di essere catturato ero consigliere del pascià del regno di Uadai
Tacca: Un uomo di rango, dunque…
Morgiano: (repentino) Chi vedi di fronte a te?
Tacca: Vedo un uomo
Morgiano: Un uomo… E’ qualcosa, ma non è abbastanza. Tu che osservi il mondo per riprodurlo puoi fare di meglio.
Tacca: (si alza, gli gira intorno guardandolo, poi assorto in una visione ideale) Vedo un moro, il naso camuso, la bocca carnosa, gli occhi scuri e penetranti come dardi. Il suo volto parla di una terra lontana, antica e possente. Porta nel volto una tristezza che viene dal profondo e che mi è stranamente familiare…
La musica sfuma
Morgiano: Trovare un’affinità è di certo qualcosa! Ma quando guardi un gruppo di moreschi come me, riesci a distinguerli?
Tacca: (lo guarda interrogativo) Io…
Morgiano: Non dir niente: entrambi conosciamo la risposta… (ironico) Ma non temere, non è disdicevole, neanche per uno scultore. Succede a tutti. Anche io la prima volta che ho visto dei cristiani ammassati nelle nostre carceri non ne distinguevo uno dall’altro. Erano tutti uguali… Finché…
Tacca: Finché?...
Morgiano: Finché non ho avuto a che fare con uno di loro. Allora ho capito che non siete solo una massa indistinta di ossa e di carne… bianca…
Tacca: Dove vuoi arrivare?
Morgiano: Da nessuna parte…
Tacca: (un po’ spazientito, tornando a disegnare) Ah no?!
(pausa)
Morgiano: Posso vedere i ritratti degli altri?
Tacca resta un attimo immobile a guardare Morgiano. Poi cerca in mezzo ai fogli che ha con sé. Ne prende tre e li dà a Morgiano.
Morgiano: (guardandoli) Siamo così ignoranti da essere come dei ciechi di fronte a chi non è come noi…
Tacca: (spazientito, si alza e strappa i fogli di mano a Morgiano) Adesso basta!
Morgiano: Perdonami, non volevo offenderti… Stavo solo constatando.
Tacca: Constatando cosa?
: Ma non vedi! I tuoi schiavi sono come te! Dei bianchi… Sono solo sagome convenzionali che poco o niente hanno dell’aspetto che mi hai attribuito poco innanzi! Il loro sembiante tradisce la tua incapacità di vedere realmente come sono fatti. E quello che è peggio è che in questo momento migliaia di uomini ne fronteggiano come ciechi altri migliaia, guidati da false verità dietro cui si nasconde solo la sete di potere di pochi. E il risultato è rappresentato dalle tue statue: uomini che fanno schiavi altri uomini (pausa). Stai cadendo in trappola…
Tacca: (guardando i ritratti che ha in mano) Ma di che trappola parli?!
Morgiano: (alzandosi ed andandogli dietro) Quella in cui siamo caduti tutti noi per non provare vergogna! Una massa indefinita è più facile da colpire ed abbattere. Annientare un nemico indistinto, anonimo, senza un passato, un presente, una storia, una vita, è molto più facile che uccidere un uomo! E questo lo hanno capito bene i nostri “signori”…
Tacca si mostra profondamente colpito.
Pausa.
Tacca: (molto turbato) Quello che… che tu hai appena detto… è come se fosse una risposta, una risposta che cercavo da tempo. L’ipocrisia che sostiene tutto questo ad un tratto mi sta schiacciando. Uomini che sottomettono altri uomini, uomini che uccidono altri uomini, per anni, per secoli, con il blasfemo orgoglio di farlo in nome di un Dio! E io che mi presto a far da ingranaggio a questo immondo supplizio…
Rumori concitati in sottofondo e sbattere di pesanti porte. Poi:
Una guardia: Messer Tacca, messer Tacca. Il Granduca è morto. Siete richiesto a Firenze! Avvicinatevi all’uscio!
Tacca: (riavendosi) Il Granduca? morto! Devo andare!
Raccoglie le sue carte. Poi si ferma di fronte a Morgiano, in piedi anch’egli.
Ci rivedremo!
Morgiano: (bonariamente ironico) Non posso far altro che aspettarti…
Tacca: (mettendo una mano sulla spalla al moro) Certo…
Parte

SCENA DECIMA

Assolvenza di musica in sottofondo. Ritmo in crescendo. Dall’ombra in cui è stato immerso finora, Gagliardi si fa avanti fino al limite anteriore della scatola di tulle. Morgiano gli è di spalle, rivolto verso il pubblico.

Gagliardi: E bravo il saraceno! Non solo parla la nostra lingua, ma è anche capace di abbindolare un Cristiano con le sue disquisizioni! Qual è il tuo proposito eh? (sarcastico) A me puoi dirlo sai: siamo compagni di sventura, noi…
Morgiano: Tu credi? Io penso che la sventura alberghi solo nelle anime preda del tormento. E la mia è tranquilla, come l’acqua di un lago al tramonto
Gagliardi: (spezzante) Che bella immagine! Ma non crederai mica che io ci sia caduto? (ridendo sguaiatamente) O pensi veramente di imbrogliare uno come me con questa messinscena del buon selvaggio? Certo sei bravo, bravo e infido come solo voi sporchi infedeli sapete essere! Qual è il tuo piano? Impietosirlo? Ferirlo nel suo orgoglio di artista? O mettere in crisi la sua fede di Cristiano?
Morgiano: Credo che tu abbia capito ben poco di quello che sta succedendo. Io penso che il tuo “Cristiano” non stia perdendo la fede, ma la stia riacquistando…
Gagliardi: La fede in chi?
Tacca: La fede in se stesso, nella propria coscienza. La fede nell’uomo.
Gagliardi: (ridendo) Ancora a filosofare! Ma guarda che siamo soli. Puoi anche smettere adesso!…
Morgiano: Hai ragione. E’ ora di smettere di parlare. E’ ora di pregare…
Gagliardi: (infuriato) Che fai, ti burli di me, eh?
Morgiano, senza più fargli attenzione si sposta verso la parte sinistra del palco, si inginocchia e comincia a pregare.
Gagliardi: Bastardo! Che fai non mi ascolti! Dico a te, figlio d’un cane! (urlando) Ascoltami, ascoltamiiii!
Sull’urlo dell’uomo di colpo via la musica. Buio.

Cartello (proiezione a scorrere)
Schiavitù

A dispetto della tradizione, il pericolo cristiano non fu minore di quello musulmano quanto al saccheggio di vite umane. Il mondo cristiano aveva bisogno ed utilizzava stabilmente gli schiavi come forza lavoro. Di fatto, il corso cristiano fu senza dubbio più dannoso ai Barbareschi di quanto essi non lo siano stati alle grandi potenze europee. I musulmani catturati erano in prevalenza destinati al remo e solo in piccola parte allo scambio con altri prigionieri. Le linee di approvvigionamento facevano capo soprattutto a Livorno, dove ricche imprese toscane protraevano l’azione dei Cavalieri di Santo Stefano. Per questo, tra la fine del Cinquecento e i primi decenni del Seicento, nel Bagno si trovavano tra i due e i tremila schiavi.

SCENA UNDICESIMA

Lontano suono di campane. La faccia anteriore della scatola di tulle è aperta solo sul lato destro, come in scena quinta. Semioscurità. Da sinistra entrano Tacca e Caterina. La donna si dirige verso la zona dove, in scena quinta, era già posizionata la finestra della camera da letto. Scompare un attimo per aprirla. Luce diurna in scena proveniente da quel punto. Resta un attimo a guardare Tacca fermo pensieroso in mezzo alla stanza.

Caterina: Che avete marito mio? Non siete contento di tornare qui?
Tacca: (senza convinzione) Certo che lo sono Caterina…
Caterina: E allora cos’è questa tristezza che vi si legge in volto…
Tacca: E’ il pensiero di entrare nuovamente in quel luogo.
Caterina: Lo so Pietro, lo so meglio di chiunque altro l’effetto che produce in voi. Ma manca poco ormai. Quando venimmo, la volta scorsa, mi diceste che tre bozzetti su quattro erano pronti.
Tacca: Lo dissi, si. Ma poi… è successo qualcosa di cui non vi raccontai e che ho tenuto per me sinora
Caterina: Cosa?
Tacca: L’incontro col moro…
Caterina: …Morgiano…
Tacca: (preso dalle sue stesse parole) ...si, mi ha fatto vedere ciò che sto facendo con occhi nuovi. E’ come se la realtà vera delle cose d’un tratto mi si fosse disvelata innanzi in tutta la sua fredda e definita precisione. Quella nebbia in cui era immersa la mia coscienza di cristiano si è diradata e quello che essa adesso scorge è che l’uomo, in tutti i tempi e in tutti i luoghi è sempre uguale a se stesso: nel bene e nel male. Ciò che si muta, invece, è il livello della conoscenza delle cose e del mondo: tutto dipende da questo. Più si apprende e meno si odia; e quanto meno si odia, tanto più c’è spazio per altra conoscenza, in un circolo virtuoso che procede come una spirale verso il cielo (pausa) L’oppressione dell’uomo sull’uomo è contraria ad ogni principio cristiano ed è per me intollerabile. Anche se per anni ho finto di non saperlo, ora qualcuno è venuto a ricordarmelo.
Caterina: E questi è Morgiano…
Tacca: Si, lo è (pausa) Ricordate moglie mia? Per un momento ritenni giusto sostituire l’effige del Granduca con quella della Religione di Santo Stefano. E come sapete tal proposta sottoposi al Granduca Ferdinando già sapendo che la statua del Bandini non era di suo gusto. Pensate: se non fosse stato per la sua morte e poi per il tempo trascorso sino a quella di Cosimo, avrei compiuto l’atto sacrilego di rappresentare la religione in guisa di movente della schiavitù perpetrata da uomini sopra altri uomini.
Caterina: Eppure, anche così come esso apparirà tra poco, è questo che il monumento racconterà a chi sbarcherà a Livorno. Dunque che intendete fare: rinunciare al completamento dell’opera?
Tacca: No moglie mia. Vorrei fare di meglio. Solo apparentemente sarà così come avete detto. Ma a chi saprà leggere attraverso i corpi e i volti dei miei mori, sarà chiaro un altro messaggio, un'altro senso che, quello si, appagherà la mia coscienza.
Caterina: Non vi seguo…
Tacca: Ma presto capirete. Per intanto sappiate che i bozzetti in gesso già creati non saranno utilizzati.
Caterina: Volete principiare tutto da capo?
Tacca: Si, è così. Ma questa volta, ciò cui darò vita sarà sotto l’egida di un tutore. Egli mi aiuterà ad illuminare queste figure in bronzo della luce di una verità umana che per me sarà specchio di quella divina
Caterina: (lo guarda intensamente per un attimo) Nel mentre ne parlavate il vostro aspetto è trasfigurato. Esso vi vede fermo nei vostri intenti e con lo sguardo fisso allo scopo. E’ chiaro ed evidente che quest’uomo non ha incrociato il vostro cammino per caso, ma per una volontà superiore… Io credo che attraverso la vostra arte, così come ha fatto e sta facendo attraverso l’opera di tanti altri artisti, Dio voglia parlare alle nostre menti ed ai nostri cuori.
Tacca: Si, lo credo anche io Caterina. E ciò che io ora voglio è esprimermi attraverso queste figure di uomini sciagurati e derelitti costretti alla cattività. Quello a cui penso è un‘opra che parlerà sì per antitesi, come l’ho pensata fin dall’inizio, ma non più per dar risalto al potere dell’oppresso sull’oppressore! Quello che voglio è qualcosa che parli ai cuori ed in primis ai cuori di quel popolo e di quelle genti che si mescolano per le strade di Livorno. Voglio che dietro all’apparenza essi scorgano il “mio” contenuto. Per loro deve essere chiaro che i “miei” mori sono simbolo di barbarie da qualunque parte venga mandata ad effetto la schiavitù!
Caterina: Fatemi venire con voi?
Tacca: Che dite! Non potrei…
Caterina: Si che potete e vi sarà d’aiuto sapermi là…
Tacca: (interdetto) Non so… Va bene, ma solo una volta…
Caterina: D’accordo Pietro. Così sarà.
Buio.

Cartello (proiezione a scorrere)
Fusione a cera persa

Si ottenga da un modello in gesso un negativo in gelatina e su di esso si versi uno spessore di cera fino ad avere un positivo di questa materia. Si ritocchino le sbavature nei punti di giunzione, si appongano chiodi di ferro di diverse dimensioni per tenere unita l’anima alla copertura di terra refrattaria. Quindi si applichino i canali di distribuzione del metallo, che saranno di materiale perfettamente distruttibile come la cera. Si copra tutto con terra refrattaria. Due giorni di essiccazione e poi negli appositi forni; tolte da questi, le forme sian cinte con lamiere di ferro per evitare spaccature. Si immetta quindi il metallo attraverso gli appositi buchi. Due giorni di raffreddamento. Infine si apran le forme con robusti metalli

SCENA DODICESIMA

Il lato anteriore della scatola di tulle è aperto. Il punto di vista degli spettatori è rovesciato. Siamo dentro alla scatola e, dunque, dentro alla cella con Morgiano e Gagliardi. Il primo, sdraiato in posizione fetale sulla branda, guarda il pubblico, l’altro, di spalle, guarda verso il fondo della scena che coincide con la parete di fondo della scatola di tulle.

Gagliardi: (tagliente) Ho saputo che oggi è il gran giorno: il tuo scultore torna qua dentro… Chissà che cosa ci troverà di tanto interessante in un taglia gole come te… Ah, certo: uno sporco assassino ma un assassino di cultura, tu… Conosci persino scrittori illustri dei nostri: Dante, Petrarca. Sai chi era San Francesco e hai a mente i nomi di Leonardo e Michelagnolo: notevole, davvero notevole. (voltandosi) Chissà se conosci anche Machiavelli eh? Sai che dice: “il fine giustifica i mezzi”. E magari, non solo conosci le sue massime, ma cerchi persino di applicarle. E allora, per dare ad intendere quanto sia docile ed innocente il selvaggio africano, sei pronto ad usare tutti i mezzi, anche quello di carpire la fiducia di un “buon cristiano” come Tacca… Che ne dici, eh?!
Morgiano: (portandosi le mai alle orecchie) Perché mi tormenti! Non sono un assassino. Uccidere è contro i miei principi
Gagliardi: Ah si?! Sei il primo barbaresco a cui lo sento dire!
Morgiano: (voltandosi verso di lui) Il tuo rancore ti acceca. L’uomo è quello che è, qualunque sia il suo colore e la sua fede. (pausa) Io c’ero quando tornaste…
Gagliardi: Tornaste dove?
Morgiano: A Bona.
Gagliardi: (esterrefatto) Tu eri là? Ah questa poi… Sei pieno di sorprese tu! E che ci facevi? non eri a casa laggiù…
Morgiano: (alzandosi con uno scatto) No, non ero a casa!... (incerto) Mi trovavo in quel di Bona per affari di stato… Quando dalla città vennero avvistate le navi, le nove galere colle insegne della Religione di Santo Stefano, fu subito chiaro chi erano e per cosa venivano. Le donne e i bambini raggiunsero i nascondigli, giusto in tempo per evitare loro gl’iniziali colpi di bombarda. Da terra attaccarono la fortezza e poi si diressero alla città. Io ne uscii prima che tutto cominciasse e tutto osservai da un colle. Le soldatesche toscane entrarono facendo saltare a una a una le tre porte. Una volta dentro rovistarono in ogni casa, in ogni strada ed anfratto: fecero preda di tutto quel che trovarono. Fu così che oltre quattrocento schiavi furono catturati e caricati sulle navi per esser trasportati a Livorno. Sul campo restarono più di mille.
Gagliardi: Giusta vendetta per il martirio dei nostri soldati!
Morgiano: (duro) Anche se tra quei morti ci furon quel giorno donne e bambini?!
Gagliardi guarda per un lungo istante Morgiano senza riuscire a proferire parola. Poi:
Gagliardi: I nostri soldati non uccidono persone innocenti!
Morgiano: (scattando verso di lui e prendendolo per il bavero) Ah no!! Tu credi veramente che la guerra abbia un codice d’onore?! Che una razzia “cristiana” sia più rispettosa di altre?! Che importa se una donna moresca viene stuprata!! Che importa se portava un bambino dentro di sé!! Che importa se qualcuno l’amava, no?!!

SCENA TREDICESIMA


Luce a pioggia. Oltre la parete di fondo della “scatola” compare Tacca. Dietro di lui, ancora invisibile, la moglie.

Tacca: Morgiano!
Morgiano si volta, lo guarda, lascia andare Gagliardi e va verso di lui.
Morgiano: Pietro…
Tacca: Come stai?
Morgiano: (con triste e doloroso sarcasmo) Ho sperimentato la proverbiale vostra arte di trafiggere con le parole. Un nostro coltello non potrebbe fare di meglio… (dando una fugace occhiata Gagliardi) E’ una lezione che non dimenticherò quand’anche dovessi campare cent’anni. Ma d’altronde qui dentro sento venir meno la voglia di vivere ogni giorno di più…
Tacca: Fatti coraggio, non sei più solo
Morgiano: (scorato) Si che lo sono. La mia gente è lontana. Mi manca il sole della mia terra, i suoi profumi, i colori dei suoi tramonti e mi manca il suono della mia lingua. Sogno le risate dei bambini che giocano liberi sotto le palme e sento l’odore dolce e sensuale del gelsomino… qua dentro! Capisci!...Tu puoi ridarmi tutto questo? Solo così non sarò più solo.
Tacca: Io non sono qui ad offrirti qualcosa, ma a chiederti di aiutami
Morgiano: Aiutarti?
Tacca: Si, aiutami a dare un’anima ai miei mori.
Morgiano: (sarcastico) Come potrei io, “moro infedele” e dunque senz’anima, aiutarti a darne una a delle statue! Perché vuoi il mio aiuto?
Tacca: Perché voglio che chi guarderà non provi disprezzo, ma pietà per quegli esseri che si troverà davanti. Ma voglio anche che le mie statue abbiano fattezze moresche, non quelle di un bianco. Sei tu che mi hai fatto capire…Guardami negli occhi Morgiano: una volta mi dicesti che mi consideri un uomo e niente altro. E’ come uomo che ti parlo.
Pausa. Morgiano osserva attentamente Tacca.
Morgiano: (riflessivo) Nei tuoi occhi leggo sincerità e… fede. Una fede salda, prima ancora che nel creatore, nell’essere creato. La tua attitudine di fronte a questa esistenza in cui siamo stati proiettati mi ricorda la mia. In fondo entrambi siamo indagatori curiosi. (sorridendo) “Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e conoscenza”… Di sicuro la virtù è nel tuo cuore e la voglia di conoscere muove il tuo intelletto. (voltandosi verso il pubblico) Tu mi chiedi di imparare… Per prima cosa devi riuscire a distinguere, proprio come mi aiutò a fare l’uomo da cui appresi la vostra lingua…
Tacca: Ti ascolto.
Morgiano: (assorto nel suo racconto) Allora sappi che quattro sono le qualità di uomini di cui si compongono le nostre genti. Ve ne sono i cui tratti appaiono più vicini a quelli che vi sono propri. Sono gli abitanti dei regni che vanno dall’Egitto al Marocco. La fierezza di combattenti e la grande abilità di cavalcatori sono la loro più grande dote. Sono i Berberi ed hanno dato nome a quella che ora voi chiamate Barberia per indicarne le terre di provenienza. Accanto a loro ci sono i miei fratelli diretti. Il loro aspetto lo puoi osservare di fronte a te: naso schiacciato, labbra sporgenti, capelli lanosi. Secondo la vostra Bibbia noi siamo i discendenti di Cam, uno dei figli di Noè. Al ceppo di un altro suo figlio, Sem, appartiene la terza razza che ci compone. Semiti vengono infatti detti quelli il cui naso arcuato e le folte sopracciglia rivelano la loro appartenenza al popolo Arabo. Infine, in mezzo alle ciurme delle nostre navi, potrai scorgere uomini dal naso tozzo e dagli zigomi sporgenti. Non ti sarà difficile capire di chi parlo. Sono i discendenti di Jafet, il terzo figlio di Noè: i Turchi. Ecco: è da qui che devi partire per imparare a distinguere ed è a questo che ti devi rifare per dare un’anima alle tue statue.
Tacca: (assorto anche lui) Ti seguo…
Morgiano: Rappresenta con occhi obiettivi. Che la tua vista sia limpida e cristallina. Questa è la strada.
Improvvisamente avvicinandosi a Tacca ed uscendo dal buio.
Caterina: Ma chi siete voi?
Morgiano, sorpreso, guarda verso di lei. Tacca interviene.
Tacca: Questa è Caterina, mia moglie.
Morgiano: (tranquillizzandosi, con un sorriso dolce) Non sapevo che fossi…
Tacca: Si, sono sposato. E tra qualche mese Caterina mi darà un figlio.
Morgiano: Che questo tuo figlio sia benedetto
Così dicendo Morgiano fa il classico saluto arabo toccandosi la fronte e la bocca rivolto a Caterina.
Caterina: Le vostre parole e il vostro atteggiamento… Siete molto diverso dall’immagine che abbiamo di voi mori, ma non da quella che di voi mi ha tratteggiato Pietro…
Morgiano: Vi ha parlato di me?
Caterina: Moltissimo
Morgiano: Ed è per questo che siete venuta in questo luogo: per incontrare lo schiavo Morgiano?
Caterina: No, per conoscere un uomo che parla come un antico saggio
Morgiano: Occorre un saggio per riconoscere un saggio, diceva qualcuno. Ma io credo che sia sufficiente un cuore sensibile per riconoscere chi si ha di fronte.
Caterina: Si, ma un saggio ha sempre una disciplina interiore… come quella che vi sostiene…
Morgiano: Mi ha sostenuto, si, ma da essa, col tempo, mi sono allontanato…
Caterina: E posso chiedervi qual è questa disciplina?
Morgiano: Sappiate che si tratta della dottrina Sufi. Nell’Islam essa è stata avversata da alcuni ed amata da molti. Al centro di tutto essa pone la virtù dell’amore e l’annullamento della creatura nel creatore, come una farfalla che si annienta nel fuoco da cui è stata affascinata.
Caterina: Perché avete abbandonato questa fede?
Morgiano: (commosso) Perché…
Tacca: Morgiano..
Morgiano: No Pietro… aspetta… (pausa) Il dolore: questo è il motivo. Un dolore intollerabile, radicato così in profondità che niente potrà cancellarlo…
Caterina: E’ di questo che parlavate poco fa: vostra moglie e… vostro figlio.
Morgiano: (visibilmente turbato) Si. E’ così. Io e Jasmin eravamo a Bona per imbarcarci per l’Italia. Noi, mori infedeli, volevamo vedere quello di cui avevamo solo sentito narrare… (in uno scatto di rabbia) E pensare che, poi, quel viaggio l’ho compiuto da solo anni dopo e per finire qua dentro! (pausa) Eppure non c’è odio o desiderio di vendetta dentro di me. No, tutto quello che è successo, mi ha come fatto rinascere.
Tacca: Che vuoi dire con questo?
Morgiano: Che ho abbandonato Dio per rivolgermi all’uomo.
Tacca: Ma non ti spaventano le nefandezze di cui l’uomo è capace, quelle di cui tu stesso sei stato vittima?
Morgiano: Gli abissi del cuore umano sono bilanciati dalle vette che esso può raggiungere, da quello che può esprimere con le arti, le lettere, le scienze. Per anni, dalla morte di mia moglie, ho pianto e pregato, maledetto e odiato, bestemmiato contro la vita pensando di darmi la morte. Fu allora che pensai che praticare l’ascesi potesse darmi sollievo. Lentamente l’odio abbandonò il mio cuore ma, allo stesso tempo, capii che rinunciare alla vita restando in vita era solo un atto di viltà. L’incontro con Risaliti mi indicò la via. Conobbi il mondo attraverso i libri che aveva con sé e attraverso i suoi racconti. Quando morì, sentii di nuovo il bisogno di vedere direttamente quei luoghi che mi aveva descritto. Così quando la mia fusta venne catturata a largo della Trinacria ero diretto nelle terre di Federico II e che prima di lui erano state abitate dai Greci. In me e negli uomini che mi accompagnavano non c’era alcun intento bellicoso: le accuse di essere dei razziatori erano false.
Tacca: Non stento a crederlo. E mentre ti ascoltavo parlare ho preso una decisione: le mie quattro statue rappresenteranno ciascuna delle razze che hai descritto. Così la gente saprà, o perlomeno (guardando fisso Morgiano) comincerà a “distinguere”… Il resto, se ne è capace, lo farà la mia arte, ispirando la compassione attraverso un’opera che mostra la schiavitù. E allora essa diventerà per tutti il monumento dei Quattro mori, della loro sofferenza, della sofferenza dell’uomo in tutti i tempi e in tutti i luoghi privato della sua libertà… Quanto a te, ti prometto che farò tutto quanto è in mio potere per farti uscire da qui.
Gagliardi: (irrompendo, furioso, rivolto a Morgiano) Finalmente! Ce l’hai fatta! Hai raggiunto il tuo scopo!
Tacca: Tacete Gagliardi!
Gagliardi: Tacere? Cosa c’è da tacere ormai?! Non solo volete dare la libertà ad un moro musulmano, uno sporco infedele, ma la pietà che è riuscito ad instillare nel vostro cuore, goccia a goccia, vi renderà un empio!
Tacca: Ma che dite? Come vi permettere?!
Gagliardi: Ispirare compassione per questi animali è un sacrilegio! La compassione non può essere sprecata per dei senza anima!!
Così dicendo si scaglia contro Morgiano cercando di strangolarlo e gettandolo a terra.
Tacca: Gagliardi!! Fermo!!
Caterina: Oddio! Lo uccide!
Tacca: Guardie!! Guardie!!
Buio

Cartello (proiezione a scorrere)
Pirati

I più antichi pirati furono i berberi. Ad essi si unirono i neri del centro Africa. Solo dopo l’VIII secolo, quando le orde maomettane si spinsero ad est per islamizzare l’India e ad ovest per conquistare l’Africa, sulle navi pirata comparvero gli arabi che, una volta islamizzati e sottomessi i berberi, rafforzarono le attività piratesche contro i traffici delle potenze cristiane. Quando infine si formò l’impero ottomano dei turchi, questi discendenti dei mongoli, che nella loro migrazione verso ovest erano stati anch’essi islamizzati, costituirono il quarto gruppo etnico a bordo delle fuste e degli sciabecchi pirata algerini.

Nero in proiezione per qualche secondo.

Cartello (assolvenza - dissolvenza)

Un anno dopo. Agosto 1624.

SCENA QUATTORDICESIMA

Musica in sottofondo. Proiettore a pioggia al centro della scena. Luce gialla. I veli che costituivano le quattro pareti della scatola sono tutti e quattro sollevati fino al telaio quadrangolare a cui sono appesi. Tacca entra in scena e si posiziona sotto il proiettore. Sta fermo per qualche istante guardandosi intorno come assorto, infine resta faccia al pubblico. Poi, dal buio circostante, si ode la voce di Morgiano alle spalle di Tacca.

Morgiano (con velata, familiare ironia): Non sei ancora stanco di tornare qua dentro?…
Tacca: (con un sorriso, voltando verso il fondo solo la testa) E tu non sei ancora stanco di rivolgermi sempre la stessa domanda da quattro anni a questa parte?
Morgiano: (uscendo dall’ombra ed avvicinandosi a Tacca) Che vuoi che ti dica, sarà che sono così invidioso della libertà che hai di farti carezzare dal sole là fuori, che non voglio che tu sprechi neanche un minuto nel chiuso di un posto come questo…
Tacca: Già…
Tacca si volta, va incontro a Morgiano, i due si abbracciano. Poi tacca allontana M. tenendolo sempre per le spalle. Lo guarda negli occhi.

Tacca: (con evidente eccitazione) Morgiano, ho due bellissime notizie da darti!
Morgiano: Mi spiace dirtelo, ma una la conosco già: le tue statue. Qua dentro le notizie corrono…
Tacca: Si Morgiano! Avanti ieri il navicello disceso lungo l’Arno ha consegnato i due ultimi mori alla galera Santa Maria Maddalena e stamani sono stati finalmente posizionati!
Morgiano: Dopo più di diciotto anni vedi finalmente ultimato il tuo monumento… Sono felice per te…
Tacca: Ma devi esserlo anche per te
Morgiano: Per me?
Tacca: Tre anni fa ti feci una promessa e forse, oggi, mi trovo nella condizione di poterla mantenere. Tra poco le due Granduchesse Tutrici, Christina e Magdalena, saranno a Livorno con il futuro Granduca Ferdinando II. E’ usanza del principe concedere le eventuali grazie ai condannati del bagno solo quando in visita a Livorno, nel qual tempo vengono esaminate le cose di questo Bagno. Mi sono adoperato per la tua causa, ho spiegato la tua condizione ed i motivi della tua prigionia e… sono riuscito ad ottenere la grazia!
Morgiano: (frastornato) Non capisco…
Tacca: Morgiano, presto sari libero!
Morgiano: (assorto) Libero… Vuoi dire che potrò tornare a casa?
Tacca: Si, avrai un lasciapassare granducale e potrai fare quello che vuoi
Morgiano: (felice) Allora, allora non sono più uno schiavo… (guardandosi intorno, come cercando dei bagagli che non ci sono) Devo prepararmi…
Tacca: (prendendolo per le spalle) Con calma amico mio. L’ufficialità della tua liberazione ci sarà solo domani, anche se fin da ora tu sei un uomo libero… Qua dentro non hai niente da portare via. Anzi, fa che questo luogo conservi per sempre tutto ciò che di triste hai vissuto in questi quattro anni di cattività… Quanto ai vestiti ed al tuo bagaglio penserò a tutto io…
Morgiano: E’ incredibile: ho immaginato centinaia di volte a questo momento disperando che venisse, che ora che è arrivato non so cosa fare… (assorto) Eppure sento già il profumo delle spezie e odo lo scorrere dell’acqua nei canali intorno alla mia città. Non avrei mai pensato di ricordare ancora… (come riavendosi) Ma, aspetta… poco fa hai detto che posso andare dove voglio…
Tacca: Si, è così. Sarai tu a scegliere la destinazione
Morgiano: Allah ha voluto tutto questo per un motivo e solo ora lo vedo chiaro di fronte a me. (rivolto a Tacca) Prima di rientrare voglio conoscere la vostra terra e le vostre città. Si, desidero vedere Firenze, visitare Siena, Lucca, Pisa… E poi Roma, Milano, Napoli… Ho letto con tale avidità quello che raccontavano i libri che mi hai dato!…Solo così la mia prigionia avrà avuto un senso…
Tacca: Se è questo il tuo desiderio, sarà soddisfatto.
Morgiano: Si, lo è. Ma ne ho anche un altro che solo tu potrai esaudire.
Tacca: Quale?
Morgiano: Vorrei che un giorno, come io avrò conosciuto, anche tu conosca.
Tacca: Tu vuoi?…
Morgiano: Che tu venga a visitare la mia terra.
Tacca: Ne sarò onorato… ma lo sarò parimenti se adesso verrai con me.
Morgiano: E dove?
Tacca: Voglio che tu veda…

La luce a pioggia si spegne. Musica soffusa in sottofondo. Cala il velo anteriore della scatola di tulle. Su di essa vengono proiettate immagini e particolari dei 4 mori in assolvenza - dissolvenza. Morgiano e Tacca, oltre il velo, sono illuminati dalla sola luce del proiettore. Poi resta fissa un’immagine totale del monumento, mentre, lentamente, torna la luce a pioggia che illumina il solo Morgiano mentre Tacca è scomparso nel buio retrostante.

 Morgiano:(sempre da oltre il velo) Sei stato di parola. I tuoi mori sanno commuovere: parlano al cuore… Ma… altri tempi dovranno venire, altri uomini dovranno nascere, prima che le loro catene siano solo il simbolo di una condizione che non è più. Allora altri mori saranno arrivati da di là del mare, altre navi li avranno trasportati e la loro storia, allora, sarà anche la vostra….

La musica si alza. La luce su Morgiano lentamente cala. Dopo qualche secondo la musica sfuma. Buio.